All’interno della maggioranza del governo Draghi la tensione è palpabile. Ormai non si capisce più chi sta da una parte e ci dall’altra, ma una cosa è certa: bisogna seguire il piano delle riforme. Non c’è alternativa: il debito pubblico altrimenti andrebbe fuori controllo. I partiti, però, lo sanno: i cambiamenti rischiano di mettere in discussione dei sistemi consolidati, i bacini di interesse elettorale. Forse è proprio per questo che ieri in Senato il Premier Draghi ha detto che “il piano si può attuare solo se c’è volontà di successo”…
Governo Draghi, le riforme statali spaventano i partiti
Le premesse non sono le migliori: alcuni giorni fa, presentando il piano delle riforme del governo Draghi e il Pnrr, il ministro Giorgetti si è lasciato scappare un fatidico “se dura…”. A cosa si riferiva? Non è chiaro. Potrebbe essere rispetto alla durata di un esecutivo chiamato in emergenza, che secondo alcuni ha i giorni contati. Soprattutto a causa di una maggioranza composta da fronti troppo diversi. Oppure al fatto che le riforme si rifanno a degli apparati statali che sicuramente opporranno una forte resistenza a ogni tipo di cambiamento. Non a caso nei giorni scorsi il tema delle riforme di sistema è stato un po’ accantonato, sovrastato dalle discussioni sul coprifuoco sì e coprifuoco no. E la votazione (o meglio non votazione) a riguardo ha sottolineato ancora di più la fragilità delle alleanze.
La dimostrazione è il rapporto tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni: il leader del Carroccio sa di non poter tirare troppo la corda. Nonostante questo, però, è chiaro anche che il ministro dello Sviluppo economico non può aver dichiarato quelle parole con leggerezza. Lo stesso, poi, vale anche dall’altra sponda: pure il Partito Democratico sta maturando un certo nervosismo. “Il riformismo calato dall’alto è sempre destinato alla sconfitta”, ha infatti affermato l’ex viceministro dell’Economia Misiani. E, di fatto, in questo modo ha sottolineato come certe sfide siano sia di destra che di sinistra.
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Governo Draghi, Marattin: “Forse non hanno capito che non c’è un piano B”
“E’ come se i partiti non avessero capito che stavolta non c’è un piano B“, ha detto inoltre Marattin. “E’ scritto nero su bianco nel Def presentato dal governo. Se le riforme programmate da Draghi e che accompagnano il Recovery Plan non venissero varate, il debito pubblico andrebbe fuori controllo. E purtroppo il sentiero delle riforme è in salita”. Parla chiaro la reazione del Parlamento di fronte ai progetti di revisione del sistema in materia di fisco, pubblica amministrazione e giustizia. “Quando il Premier ha citato il nodo della concorrenza, alla Camera un solo deputato ha applaudito. Io.”, ha aggiunto infatti Marattin. La domanda quindi sorge spontanea: perché? Perché rimettere in discussione i sistemi significa scardinare dei meccanismi consolidati, dei poteri, delle parole d’ordine, dei bacini elettorali. E questo spaventa terribilmente i partiti.
“Palazzo Chigi ha dovuto garantire all’Europa ogni sei mesi uno stato di avanzamento dei lavori sulle riforme. Sono impegni ambiziosi da affrontare però con un auto dal motore in panne. E il governo si prepara alla sfida avendo a che fare anche con certe strutture dello Stato che sono refrattarie. L’elenco è lungo“, ha sottolineato l’ex capogruppo PD Delrio. Tra l’altro, le lancette dell’orologio corrono. Proprio per questo ieri alla Camera, mentre leggeva i vari step da seguire, Draghi si è fermato e ha detto: “Certo che ne abbiamo di cose da fare tra maggio e giugno”. Il quadro generale, però, disegna uno scenario di partiti in lotta per la rivincita e apparati statali duri da sovrastare. Forse è questo il motivo delle sue parole in Senato: “Il piano si può attuare solo se c’è volontà di successo”. Messe insieme a quelle di Giorgetti, sembrano comunque ribadire che, oggi, l’Italia non ha un piano B. >> Tutte le notizie di UrbanPost