Nell’era dei social può succedere di tutto, anche che una giornalista venga sospesa dal Washington Post per aver pubblicato su Twitter un link ad un articolo sulle accuse di violenza sessuale contro Kobe Bryant a poche ore dalla morte del campione dell’Nba. Un post intempestivo, che ha suscitato un’ondata di insulti e minacce di morte e stupro. Felicia Sonmez, così si chiama la giornalista, si è vista costretta a trasferirsi in un albergo. Tutto questo dopo che l’indirizzo privato della cronista era stato diffuso online: troppo rischioso per la sua incolumità restare nella sua stessa abitazione.
Kobe Bryant, Washington Post sospende giornalista: aveva ricordato le accuse di stupro al campione
Dal canto suo il Washington Post ha sospeso Felicia Sonmez dopo l’accaduto. Il noto quotidiano americano, come riportato dall’Agi, ha imposto alla giornalista un congedo amministrativo in attesa di valutare se il messaggio, successivamente eliminato, abbia violato le sue direttive ai giornalisti sull’uso dei social media. “I tweet di Sonmez mostrano un errore di giudizio che ha minato il lavoro dei suoi colleghi”, recita la motivazione del Washington Post. Il sindacato che rappresenta i dipendenti di quest’ultimo però ha chiesto immediatamente il reintegro: «Una collega valorosa è stata censurata per aver riportato quello che è un dato di fatto», ha denunciato il WP Guild. Il link pubblicato su Twitter della giornalista è arrivato poco dopo l’incidente in California che ha causato la morte di Kobe Bryant, della figlia di questi e di altre persone, e tirava fuori le accuse di una 19enne che aveva denunciato nel lontano 2003 il cestista per essere stata stuprata in un hotel del Colorado. Un episodio che molti ricorderanno, anche perché all’epoca dei fatti Kobe Bryant aveva 24 anni ed era già una stella del Basket.
«Ogni figura pubblica andrebbe ricordata nella sua totalità, anche quando è amata da tutti», Felicia Sonmez si è difesa così dagli attacchi
Come spiega chiaramente l’Agi nell’agosto 2004 la giovane aveva ritirato l’accusa in cambio di una dichiarazione di scuse in tribunale. La ragazza ha ricevuto poi un risarcimento milionario da un tribunale civile. Parliamo di 2,5 milioni di dollari. Quello di Felicia Sonmez non era il link ad una fake news, ma ciò non toglie che esso sia stato pubblicato in un momento ‘inopportuno’. La giornalista ha spiegato di aver condiviso l’articolo del Daily Beast, pubblicato nel 2016, per aggiungere un tassello importante alla personalità del campione defunto. «Alle 10 mila persone che hanno commentato e scritto email con insulti e minacce di morte. Prendetevi un minuto e leggete il pezzo, scritto oltre tre anni fa e non da me. Ogni figura pubblica andrebbe ricordata nella sua totalità, anche quando è amata da tutti», ha affermato la giornalista difendendosi dagli attacchi ricevuti. Dalla sua Barry Svrluga, commentatore sportivo, che pure ha riconosciuto la necessità di ricostruire nella sua «complessità» la storia di Kobe Bryant.
«La necessità di non omettere nulla anche quando può essere impopolare o doloroso»
Anche un’altra cronista, collaboratrice del New York Times, storico rivale del Washington Post, ha ricordato l’episodio: «I miei pensieri sono e rimarranno con le vittime che vedono le loro accuse di stupro mascherate o ignorate solo perché un uomo sa praticare bene uno sport. La tua storia, il tuo trauma e la tua umanità valgono più di una carriera». Nello spirito del movimento Me-too l’attrice Evan Rachel Wood ha dichiarato: «Ho il cuore spezzato per la famiglia di Kobe. Era un eroe dello sport, ma anche uno stupratore. Queste verità possono esistere contemporaneamente». Come scrive Giuseppe Sarcina su Il Corriere della sera tutto questo non fa altro che far capire quella che è una delle tante problematiche del giornalismo e di chi fa questo mestiere: «La necessità di non omettere nulla anche quando può essere impopolare o doloroso».
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