Ospite a Che tempo che fa la senatrice Liliana Segre, superstite dell’Olocausto, ha parlato del dramma della Shoah vissuto sulla propria pelle, della sua volontà di farsi testimone e per la prima volta ha raccontato emozionato un episodio del privato, che fa comprendere meglio l’ostilità sua nei confronti della decisione del Comune di Verona di intitolare contemporaneamente una strada ad Almirante e dare la cittadinanza onoraria a lei.
Liliana Segre: «Mio marito aderì alla destra di Almirante. Gli chiesi di scegliere: lasciò per amore»
«Mio marito, che era stato uno che aveva scelto due anni di internamento pur di non stare nella Repubblica sociale, vedendo molto disordine, per un certo periodo aderì a una destra in cui c’era anche Almirante. Io ho molto sofferto e ci fu una grande crisi. A un certo punto misi mio marito e me sullo stesso piano e dovevamo sceglierci di nuovo. O separarci», ha riferito Liliana Segre. Dopo la crisi i due si ritrovarono: «Per fortuna lui rinunciò per amore nei miei confronti a una eventuale carriera politica. Fummo insieme per altri 25 anni». Nel corso dell’intervista si è parlato anche del libro a scritto a due mani con Enrico Mentana, La memoria rende liberi, e della necessità di farsi testimone e non tacere più l’orrore dei lager: «Diventata nonna, decisi di uscire dal silenzio durato 45 anni e fare il mio dovere di testimone. Fino ad allora non avevo avuto il coraggio di farlo!».
«Come dice Primo Levi: ‘capire è impossibile, ma conoscere è necessario’. Se non si studia la storia…»
Qualche parola poi sugli agenti della scorta che la proteggono da quando è diventata bersaglio di minacce di morte: «Tra loro e i miei nipoti non c’è molta differenza per me. Mi sento la nonna della mia scorta». Vedeva all’inizio quest’ultima come un impedimento, un limite alla sua libertà. Ora invece lo considera «un grande regalo, ho degli amici, con loro posso mangiare la pizza con i miei nipoti». L’ospitata della Segre a Che tempo che fa arriva alla vigilia della Giornata della Memoria, che ricorre oggi: «Quel 27 gennaio io non ero ad Auschwitz, non ho avuto la gioia di veder aperto quel cancello. C’erano solo morti o persone malate che non avevano potuto obbedire al comando della ”‘marcia della morte’. Come dice Primo Levi: ‘capire è impossibile, ma conoscere è necessario’. Se non si studia la storia i ragazzi penseranno che il 27 gennaio è finita la guerra, sono entrati i russi nel campo… non era così!». E ancora parlando della Shoah la senatrice ha chiosato: «ll tempo è terribile, cancella. Cancella le persone, la memoria. Tutti i testimoni stanno morendo. È più facile negare e i ragazzi non studiano la storia. Spero la materia venga promossa. Senza la storia come fa ad esserci la memoria?».