Operazione antimafia in Sicilia: un’inchiesta della Dda di Palermo sui capimafia e boss della “Stidda” ha portato a 23 fermi. L’indagine delle Forze dell’Ordine, coordinata dal procuratore di Palermo, va a colpire le famiglie mafiose agrigentine e trapanesi. Secondo una prima ricostruzione fatta dagli inquirenti i boss riuscivano a comunicare dal 41 bis, continuando così anche dal carcere la collaborazione tra di loro. Inoltre, l’inchiesta riguarda anche un ispettore e un assistente capo della Polizia, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione di segreti d’ufficio. Coinvolto anche un avvocato di Canicattì, nel cui studio i capimafia di diverse province siciliane si sono riuniti per due anni.
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Operazione antimafia in Sicilia: fermate 23 persone
L’inchiesta della Dda di Palermo ha portato a 23 fermi. L’operazione antimafia in Sicilia ha colpito in modo particolare diverse famiglie mafiose agrigentine e trapanesi. Coinvolti nell’inchiesta diversi capimafia e boss della “Stidda”. Da quanto emerge dalle prime indagini, per due anni i capimafia di diverse province siciliane si sono riuniti nello studio di un’avvocata di Canicattì. La legale era la compagna di un imprenditore già condannato per associazione mafiosa. Il suo studio, come riportato da Sky Tg25, era stato scelto come base logistica dei clan perché la legge limita le attività investigative negli uffici degli avvocati. La donna aveva assunto un ruolo di vertice in Cosa Nostra organizzando i summit, svolgendo il ruolo di consigliera, suggeritrice e ispiratrice di molte attività dei clan. Le centinaia di ore di intercettazione hanno consentito agli inquirenti di far luce sugli assetti dei clan, sulle dinamiche interne alle cosche.
Coinvolto il mandante dell’omicidio del giudice Rosario Livatino
Coinvolto nell’inchiesta della Dda di Palermo anche uno dei capimafia indicato come il mandante dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre del 1990 e da poco proclamato Beato da Papa Francesco. Dopo aver scontato 25 anni, Angelo Gallea, questo il nome del boss, era stato ammesso alla semilibertà dal tribunale di sorveglianza di Napoli il 21 gennaio del 2015 perché aveva mostrato la volontà di collaborare con la giustizia. Nelle corso delle varie indagini, è stata trovata anche una comanda firmata da Matteo Messina Denaro, capomafia trapanese latitante da 28 anni e ancora riconosciuto come l’unico boss cui spettano le decisioni su investiture o destituzioni dei vertici di Cosa nostra. Infine, sempre dalle indagini, è emerso che diversi capimafia sarebbero riusciti a parlare tra loro, a scambiarsi messaggi e a far arrivare ordini all’esterno. >> Altre News