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Referendum 12 giugno: i cinque quesiti spiegati in modo semplice

30/05/2022 12:52

Domenica 12 giugno gli italiani saranno chiamati a esprimere la propria opinione rispetto ai referendum sulla giustizia. Si tratta di cinque quesiti che pongono l’attenzione su argomenti molto complessi e tecnici. E proprio per questo tanti cittadini hanno già dichiarato che non si recheranno alle urne. Vediamo quindi di fare un po’ di chiarezza, e di spiegare in modo semplice cosa ci viene chiesto di votare.

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Referendum 12 giugno, per cosa si vota

Il 12 giugno non si voterà solamente per le amministrative in quasi 1000 comuni, ma gli elettori saranno chiamati a esprimersi anche rispetto ai referendum sulla giustizia. Una volta arrivati alle urne, quindi, ci si troverà di fronte a cinque schede di colori diversi per cinque domande differenti. I quesiti riguardano l’ordinamento giudiziario, e più nello specifico toccano argomenti attinenti al processo penale e al contrasto alla corruzione. Nel dettaglio, si parla di abolizione della legge Severino, di riduzione dell’ambito dei reati per i quali è consentita l’applicazione delle misure cautelari, di separazione delle carriere tra giudici e pm, di elezione dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura e di votazione dei magistrati.

Questo del 12 giugno sarà un referendum abrogativo, perciò si richiede ai cittadini l’eliminazione, totale o parziale, “di una legge o di un atto avente valore di legge”. Significa che chi è d’accordo può votare “sì”, chi è invece contrario dovrà fare la croce sul “no”. Affinché il referendum possa essere considerato valido, sarà necessario raggiungere il quorum del 50%+1 degli aventi diritto per ogni quesito. Sarà fondamentale, perciò, un’alta affluenza al voto.

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Referendum 12 giugno 2022, i quesiti

A questo punto non ci resta che analizzare i cinque quesiti del referendum del 12 giugno. Partiamo dalla scheda rossa, quella per l’abolizione della legge Severino. Ci viene domandando se siamo d’abbordo o meno con l’annullamento del “Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi”. Sostanzialmente, quindi, ci viene chiesta la nostra opinione rispetto all’eliminazione delle norme che impediscono di candidarsi a cariche pubbliche chi è stato condannato in via definitiva per mafia, terrorismo, corruzione o altri reati considerati gravi.

Se dovesse passare il no, quindi, chiunque sia stato condannato a un periodo di reclusione di almeno quattro anni, dovrebbe abbandonare il proprio mandato e non potrebbe più presentarsi, almeno per sei anni, a un’elezione. Inoltre, rimarrebbe valida la sospensione temporanea del mandato anche in caso di condanna non definitiva per gli eletti in un ente locale (come i sindaci), per un periodo di 18 mesi, in via automatica.

Se dovesse vincere il sì, invece, anche i condannati in via definitiva potrebbero candidarsi o continuare a ricoprire la propria carica, e si eliminerebbe il meccanismo automatico di sospensione in caso di condanna non definitiva. Sarebbero quindi di nuovo i giudici a decidere, caso per caso, se applicare o meno come pena accessoria anche l’interdizione dai pubblici uffici.

Quesito 2: limitazione delle misure cautelari

Il secondo quesito del referendum del 12 giugno, ovvero la scheda arancione, riguarda la limitazione delle misure cautelari. Ci viene chiesto se siamo d’accordo all’abrogazione della norma che limita i casi in cui possono essere inflitte le misure cautelari, e in particolare la carcerazione preventiva, eliminando l’ipotesi di pericolo di reiterazione dello stesso reato. A oggi, infatti, sono previste le misure cautelari in caso di pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o per evitare che la persona indagata possa compiere di nuovo lo stesso reato. Se dovesse passare il “sì”, quindi, i giudici non potrebbero più disporre la custodia cautelare in carcere per i reati meno gravi, ma esclusivamente di fronte al rischio concreto che l’indagato possa commettere reati con l’uso di armi, con la criminalità organizzata o contro l’ordine costituzionale. Non potrà disporla, invece, per reati meno gravi.

Non è tutto: il referendum eliminerebbe anche la previsione di custodia cautelare per il reato di finanziamento illecito dei partiti. Sostanzialmente, si può dire che i promotori del “sì” siano convinti che in Italia si ricorra troppo facilmente, e in modo sproporzionato, alla custodia cautelare. Misura che, al contrario, dovrebbe rappresentare un’eccezione. Chi è per il “no”, invece, sostiene che se si dovesse cambiare la legge, sarebbe difficile applicare misure cautelari a persone indagate per reati gravi come corruzione, stalking, estorsioni, rapine e furti. Inoltre, non ci sarebbe alcuna garanzia di non mettere in carcere persone innocenti, poiché le altre motivazioni rimangono applicabili.

Referendum 12 giugno 2022, il terzo quesito: la separazione delle carriere tra giudici e pm

La scheda gialla, invece, riguarda la separazione delle carriere tra giudici e pm. Il quesito punta ad abrogare le norme che permettono ai magistrati di passare dall’accusa (pm) alla funzione giudicante (giudici), e viceversa. I magistrati, infatti, nel corso della carriera possono decidere di cambiare ruolo, per un massimo di quattro volte. Se dovesse vincere il “sì”, si creerebbero due carriere diverse, il che decreterebbe l’impossibilità di passare da una carica all’altra. Si prevederebbero perciò di percorsi separati da scegliere a inizio carriera e, secondo i promotori del “sì”, si garantirebbe maggiore equità e indipendenza dei giudici. Chi sostiene il “no”, invece, pensa che una modifica così significativa non possa essere affidata al popolo, e quindi a un referendum abrogativo. 

Chi è per il “no”, inoltre, sostiene che la separazione delle carriere non sarà comunque efficace dato che la formazione, il concorso per accedere alla magistratura e gli organi di autogoverno dei magistrati resterebbero in comune. In più, alcuni temono che in questo modo i pubblici ministero possano essere sottoposti a un maggiore controllo da parte del governo, finendo per diventare una sorta di “avvocati” della maggioranza che controlla l’esecutivo.

Quesito 4: la valutazione dei magistrati

Il quarto quesito, quello presentato dalla scheda grigia, riguarda la valutazione dei magistrati. Nello specifico, viene chiesta l’opinione dei cittadini rispetto alla “partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte”. Con le norme attualmente in vigore, ogni quattro anni i magistrati ricevono una valutazione sul proprio lavoro, espressa in “positiva”, “non positiva” e “negativa” da parte dei consigli giudiziari (magistrati eletti sul territorio, il presidente della Corte d’Appello e il suo procuratore generale).

Se dovesse passare il “sì”, anche gli avvocati e i professori universitari presenti nei consigli giudiziari (ovvero i componenti laici) potrebbero esprimere il proprio parere. Secondo i promotori del “sì”, questo porterebbe a un giudizio più oggettivo.

Chi è a favore del “no”, invece, sostiene che un giudice potrebbe poi trovarsi a un dibattimento con un avvocato che, in un secondo momento, potrebbe doverlo valutare. Il rischio, quindi, è quello di andare incontro a un pregiudizio e di intaccare la garanzia di indipendenza.

Referendum 12 giugno, il quesito numero 5

Infine, il quesito numero 5. Nella scheda verde ci verrà chiesto se siamo d’accordo o meno rispetto all’abrogazione “di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura”. Sostanzialmente, si vorrebbe eliminare la legge che stabilisce che ogni candidatura per il Csm debba essere sostenuta dalle firme di almeno 25 presentatori. Lo scopo è quello di mettere la parola fine al sistema delle “correnti” nella magistratura. In caso di vittoria del “sì”, quindi, ogni magistrato potrebbe presentare la propria candidatura in autonomia, senza dover cercare l’appoggio di altri magistrati. Secondo i promotori di questa votazione, così si premierebbe di più il merito piuttosto che l’adesione alla politica. Inoltre, pensano che si limiterebbe anche la lottizzazione delle nomine, cioè la spartizione delle cariche tra i diversi orientamenti politici.

Chi è per il “no” afferma invece che la riforma non eliminerebbe il potere delle correnti poiché interviene in modo poco rilevante. Ma c’è anche chi non vede le correnti come un sistema negativo, poiché le riconosce come aggregazioni di persone che condividono ideali e principi comuni. >> Tutte le notizie di UrbanPost