Il professor Stefano Zecchi, filosofo, accademico e saggista, con un intervento ai microfoni della trasmissione “Nautilus”, condotta dal direttore Gianluca Fabi e Alessio Moriggi, su Radio Cusano Tv Italia, ha detto la sua sulla scuola italiana. L’ex professore ordinario di estetica presso l’Università degli Studi di Milano ha parlato nello specifico del Ministero dell’Istruzione, dell’Esame di Maturità svoltosi in maniera del tutto diversa quest’anno a causa dell’emergenza Coronavirus e del rapporto che i ragazzi hanno con la tecnologia.
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Stefano Zecchi: «La scuola italiana non è competitiva. I programmi gli stessi di quando andavo al liceo io»
«Il Ministero dell’Istruzione è molto complicato. Io ho avuto delle funzioni quando era ministro Letizia Moratti (è stato assessore alla cultura al comune di Milano dal 2005 al 2006 ndr). È un ministero che va separato dalla ricerca scientifica e dall’università. Gestire la bellezza di 8 milioni di studenti, un milione e mezzo di docenti è difficilissimo da un punto di vista gestionale, poi c’è l’aspetto culturale», ha spiegato il professor Stefano Zecchi. Successivamente la precisazione: «Noi abbiamo una scuola che non è competitiva. Io ho un figlio di 16 anni che fa la terza liceo classico e ha praticamente gli stessi programmi che avevo io. È una scuola che deve aggiornarsi. La scuola non deve essere per gli insegnanti, ma per gli studenti. Questo da diversi anni è stato dimenticato». Nel corso dell’intervista, rilanciata dall’AgenPress, il professor Zecchi ha parlato anche della Maturità: «Quest’anno si doveva abolire. Non si doveva fare un esame in quel modo. Già la Maturità ha perso il suo valore di verifica, il suo valore simbolico, promuovono praticamente tutti. Invece quell’esame dovrebbe essere mantenuto come un momento di crescita e di distacco, di ingresso nella società. Ora è diventato un giochino… Già non aveva più senso prima, farla nel modo in cui è stata fatta quest’anno è stato ancora peggio. Si doveva dire: va beh, quest’anno è andata così».
«L’apparato tecnologico non surroga assolutamente quello dell’esperienza. I ragazzi sono un passo avanti rispetto a noi»
Qualche parola poi sul rapporto che i giovani hanno con la tecnologia: «C’è una demonizzazione di tutto l’apparato tecnologico, dei telefonini. Mia moglie vuole che proibisca a mio figlio l’uso del cellulare. Il cellulare lo si può mettere da parte quando si studia. Sembra invece sia diventato l’elemento diabolico che rovina i giovani. La pandemia ha dimostrato che i ragazzi, seppur iper tecnologici e sempre col telefono in mano, hanno patito moltissimo l’assenza di un rapporto vero, direi quasi fisico-carnale con l’altro. Questo dimostra che l’apparato tecnologico non surroga assolutamente quello dell’esperienza. Questi giovanotti sono davvero un passo avanti rispetto a noi e li invidio moltissimo perché possono essere sempre in contatto tra loro. Io avevo le tasche piene di gettoni, per non farmi sentire dovevo andare a telefonare fuori e la cabina telefonica magari era occupata, perdevi la fidanzata perché non avevi gettoni». E ancora: «I ragazzi hanno capito l’importanza dello stare insieme, del rapporto vero, ma lo sapevano anche prima, siamo noi che non lo capiamo. Ci sono sempre stati i lavativi, i fannulloni e ci sono anche oggi, così come ci sono ancora i ragazzi preparati ed educati. Il problema è la famiglia, che è la prima struttura educativa. Allora è inutile che i grandi si lamentino della maleducazione e della superficialità dei ragazzi», ha concluso il professor Zecchi. leggi anche l’articolo —> Azzolina e gli imbuti da riempire: «È una metafora nota ai docenti», qualcosa però non torna