Il governo ha scelto di accettare il 2035 come data ultima per la produzione di motori a benzina e diesel, sollevando lo sconcerto delle grandi associazioni industriali del Nord Italia. “Quell’orizzonte è sostanzialmente inattuabile allo stato odierno”, hanno infatti scritto in un comunicato. Ma non solo: bloccare la produzione nel 2035 metterebbe a rischio oltre 70mila posti di lavoro.
Stop alla produzione di auto a benzina e diesel nel 2035
“Senza l’indicazione di un’alternativa, o quantomeno l’introduzione di un principio di gradualità, la strada tracciata dall’Unione europea comporterà il blocco degli investimenti nei motori a combustione oltre alla sostanziale chiusura del mercato. Solo in Italia si rischiano di bruciare più di 70mila posti di lavoro entro il 2030. E’ sconcertante la mancanza di una progettualità chiara che consenta alle migliaia di aziende italiane del settore di adeguarsi gradualmente all’imposizione dell’Ue”, si legge ancora nella nota. Tra l’altro, come sottolinea Confindustria, “l’attuale scadenza rischia di mandare ko il 50 per cento del settore della componentistica”. Quello che si vuole dire, quindi, è che al momento non sembra essere possibile, almeno per il sistema automotive italiano, seguire l’evoluzione delle quattro ruote.
I più, infatti, non sono ancora stati in grado di adeguarsi all’elettronico, di attuare quella modernizzazione che grandi gruppi di assemblaggio finale hanno già affrontato. E di fatto hanno continuato a concentrare le loro attenzioni su marmitte, pistoni e tutti quei componenti che non saranno più utili con l’elettrico. Inoltre, questo non sembra essere un problema solo italiano: durante la riunione di Glasgow per Cop 26, infatti, è emerso che ci sono delle resistenze anche nella filiera giapponese e in quella tedesca. Proprio per questo motivo i ministri italiani, in quell’occasione, non avevano firmato la dichiarazione finale sullo stop alle alle auto a combustione endotermica entro il 2035.
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Stop produzione automobili, i posti a rischio
Chiaramente, i dubbi poi non riguardano solamente la stretta produzione, ma anche i posti di lavoro. Si parla infatti di migliaia e migliaia di esuberi in tutto il mondo causati dal passaggio all’elettrico. Per questo servirebbe prudenza, e magari una transizione più lunga. O come hanno definito dalla Germania, maggiore “neutralità tecnologica”. La stessa espressione si trova anche nel comunicato delle associazioni industriali del Nord: “Auspichiamo la neutralità tecnologica proprio per poter esprimere al meglio le nostre competenze”. Nell’espressione di nota un’accusa implicita, la stessa del gruppo di paesi restii a Glasgow: il passaggio all’elettrico sarebbe frutto di una scelta ideologica.
Se invece si vuole puntare ad abbattere le emissioni inquinanti, allora diventa meno importante con quale tipo di motore si raggiunga questo obiettivo. Tra l’altro, questa è sempre stata anche la posizione del ministro dell’Industria Giorgetti. Adesso gli imprenditori domandano al governo “un piano industriale per la transizione del settore automotive”, e ipotizzano che con il passaggio all’elettrico entro il 2035 in Italia aumenteranno “le spinte alla delocalizzazione“. >> Tutte le notizie di UrbanPost