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Test sierologici Coronavirus, primi risultati: letalità italiana più bassa di quello che sembra?

17/04/2020 12:55

La riapertura del paese passa attraverso i test sierologici, che a differenza degli ormai noti tamponi, utili per individuare la presenza del Covid-19 all’interno delle mucose respiratorie, servono ad individuare tutte quelle persone che sono entrate in contatto con il virus. In altre parole i test sierologici sono in grado di trovare gli anticorpi prodotti dal nostro sistema immunitario in risposta al virus. Ne esistono di due tipi: quelli rapidi, che grazie ad una goccia di sangue riescono a stabilire se la persona ha avuto a che fare col Coronavirus; quelli quantitativi, che necessitano di un prelievo e sono capaci di specificare le quantità di anticorpi prodotti. Su ‘Il Corriere della sera’ Lorenzo Salvia fa una panoramica sui primi test fatti in Italia.

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Test sierologici Coronavirus, primi risultati: letalità italiana più bassa di quello che sembra?

Il primo Comune lombardo ad aver intrapreso la strada dei test sierologici, Robbio, in cui la fascia d’età più colpita è stata quella tra i 50 e i 60 anni. Non c’è però una via maestra: come spesso avviene in Italia ognuno fa come meglio crede. Chi sta dando la precedenza ai medici e infermieri, chi si sta concentrando sulle forze dell’ordine, chi sta optando solo per i test rapidi, quelli con la goccia di sangue dal dito per intenderci. La regione che ha somministrato più test sierologici finora la Toscana: 80 mila quelli effettuati su un programma che ne prevede 140 mila. Verifiche mirate su medici, infermieri, Rsa e forze dell’ordine. Lunedì, come riporta ‘Il Corriere’ si darà il via allo screening di massa con altri 400 mila test. Il Veneto è pronto, invece, a partire con 70mila test. Il Lazio ne dovrebbe fare 300 mila, a partire dai 60 mila su sanitari e forze dell’ordine.

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Cosa sono i «casi sommersi»?

Nel suo report Lorenzo Salvia evidenzia un dato piuttosto interessante, esito dell’analisi di 10 mila test — 8mila in Lombardia, 2mila in Liguria — fatti su persone sintomatiche, che non hanno avuto contatti con chi ha contratto il Coronavirus. Persone che comunque non sono state ricoverate e non si sono ammalate gravemente. La percentuale dei positivi è «sopra il 10%» afferma Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive al San Martino di Genova. Letalità dunque più debole di quello che sembra, ma è ancora presto per avanzare tesi. “È lo stesso dato riscontrato sul campione più ristretto del Comune di Robbio ed è la stessa cifra azzardata due settimane fa dall’Imperial College di Londra, che aveva parlato di 6 milioni di contagiati nel nostro Paese, in molti casi sommersi”, scrive il giornalista. Ma cosa si intende per «casi sommersi»? I malati con sintomi influenzali lievi che devono restare a curarsi a casa.

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Coronavirus, test sierologici affidabili o no?

Ultima questione degna di nota è quella dell’affidabilità di tali test sierologici. C’è da fidarsi? Come dicevamo in apertura essi non sono tutti uguali e generalizzare comporterebbe il rischio di ritrovarsi una fotografia dell’epidemia poco rispondente alla realtà. C’è chi ha scelto quelli rapidi, chi quelli quantitativi. Tuttavia, come dice chiaramente Giorgio Palù, professore di Neuroscienze, nonché consulente del Veneto sul programma per i test in questione: «Certo, ci vorrebbe una standardizzazione non solo italiana ma europea, servirebbero delle linee guida. Ma se le regioni non si fossero mosse per conto loro, secondo lei si sarebbe mosso qualcosa?». D’altronde lo stesso docente emerito di microbiologia a Padova ha dichiarato: «Ma perché i tamponi sono stati validati da qualcuno? E le cure che si stanno adottando in uso compassionevole?». Resta dunque una querelle scientifica aperta. Fatto sta che i test seriologici rappresentano ora un elemento chiave per far ripartire l’Italia e sbloccare le varie zone rosse. leggi —> Coronavirus, primi test sierologici per passeggeri: “Emirates” mette in campo il prelievo “mordi e fuggi”