Esteri, tutte le guerre in Medio Oriente. Non solo Israele e Palestina, Giordania, Siria e Libano del sud: nel teatro del Medio Oriente, che la storia recente ha consegnato come il più conflittuale del globo, le guerre si moltiplicano. E se le preoccupazioni e l’interesse dell’opinione pubblica occidentale, come ricorda il giornalista esperto di Medio Oriente Ugo Tramballi su ISPIonline, si concentrano sulla carneficina che si sta consumando tra israeliani e palestinesi, dallo Yemen al Belucistan, dalla Siria all’Iraq del nord altri focolai di guerra si diffondono con episodi sempre più gravi e preoccupanti. Li riassumiamo in questa scheda dettagliata.
Leggi anche: Biden dice che non c’è un’escalation della guerra in Medio Oriente, ma è davvero così?
La guerra tra Iran e Pakistan in Belucistan
Guerre in Medio Oriente, immaginiamo siano in pochi a conoscere il Belucistan anche solo come toponimo, prima ancora di saperlo individuare su una carta geografica. La regione del Belucistan copre oltre 347mila chilometri quadrati divisi attualmente su tre stati, Afghanistan, Iran e Pakistan. A nord si trova la linea Durand, che separa il Belucistan dall’Afghanistan; a ovest c’è il confine con l’Iran; mentre a nord ed a est si trova il fiume Indo, che separa quella regione rispettivamente da Sindh e Punjab; mentre, a sud, si trova il Mar Arabico, dove si trova lo Stretto di Hormuz, così prezioso nella geopolitica contemporanea per essere la rotta più vicina tra Medio Oriente e Asia Centrale.
Nel diciottesimo secolo la comunità di Baloch fu divisa e il suo territorio distribuito tra Iran, Afghanistan e quello che oggi conosciamo come Pakistan. Dopo che l’Impero britannico si ritirò dall’India e ebbe luogo la divisione del paese che portò alla formazione del Pakistan, immediatamente i pakistani annetterono il Belucistan. Dal 1949 iniziò la lotta dei Baluci per la loro indipendenza. Quello sforzo perdura ancora oggi ed è strettamente collegato ai nuovi scontri armati tra Iran e Pakistan nell’area di confine tra i due paesi.
Il 16 gennaio 2023 l’Iran ha compiuto alcuni attacchi aerei contro le basi del gruppo “terrorista” sunnita Jaish al-Adl, uno degli elementi della galassia irredentista dei beluci, in territorio pachistano. La reazione di Islamabad non si è fatta attendere e due giorni le forze armate pachistane hanno sferrato un attacco missilistico contri i “gruppi di terroristi” insediati a Saravan nella provincia iraniana del Sistan-Belucistan, al confine con il Pakistan, uccidendo almeno nove persone. Il governo pachistano, come ha riportato il collega Luca Miele su Avvenire, si è affrettato a precisare di aver portato a termine una “serie di attacchi militari di precisione altamente coordinati e mirati contro i nascondigli dei terroristi” e che l’iniziativa non rappresenta un attacco diretto all’Iran.
Perché questo improvviso incendio al confine tra Iran e Pakistan e il precipitare delle relazioni, peraltro mai buone, tra i due stati islamici dell’estremo Medio Oriente? L’iniziativa è partita dall’Iran: Teheran si sente sotto pressione e si mostra incapace di comprendere il complicato scenario in cui è maturato l’attentato suicida alla tomba del generale Solemaini, il “martire” della rivoluzione eliminato dagli Stati Uniti con un attacco aereo mirato all’aeroporto di Baghdad, il 2 gennaio 2020. Nonostante le rivendicazioni arrivate da Al-Qaeda, l’Iran ha deciso di mostrare i muscoli contro qualsiasi segnale di recrudescenza terroristica interna al paese. Ha quindi “puntato il dito e alzato gli aerei”, osserva Miele, contro il gruppo terroristico sunnita Jaish al-Adl, colpevole secondo l’Iran di aver attaccato ripetutamente le forze di sicurezza iraniane nella zona di confine con il Pakistan. Innescando, di fatto, un nuovo conflitto di area.
Leggi anche: Generale iraniano Qassem Soleimani ucciso dagli Usa, Teheran: «Ci vendicheremo»
Tutte le guerre in Medio Oriente: gli Houthi e l’escalation nel Mar Rosso
Gli Houthi, nati nello Yemen come movimento di revival culturale negli anni ’90 per la setta islamica zaydita, negli anni a seguire sono diventati via via sempre più frustrati dalla crescente importanza dell’Islam salafita dell’Arabia Saudita nel paese, fino a ritenere represso il loro patrimonio culturale e religioso. In trent’anni, dalla contestazione al regime Yemenita sotto molti aspetti, tra cui la dilagante corruzione, sono di fatto diventati un gruppo “ribelle” armato.
Il passo finale, è stata la scelta di cercare visibilità nello scenario geopolitico Mediorientale attaccando quello che più avevano a portata di mano, il traffico commerciale del Mar Rosso, pensando così di mettere in difficoltà crescente la catena delle alleanze saudita e di conseguenza il governo di Sana’a. Gli Houthi hanno ben assimilato e potenziato la strategia nota degli attacchi al naviglio commerciale ad opera dei pirati somali nel golfo di Aden. Attaccano navi occidentali, con obiettivo primario quelle che battono bandiera israeliana. Perché? Per emergere come attori protagonisti nello scenario del conflitto tra Israele e Palestina, ma anche per destabilizzare gli odiati Sauditi, nel momento in cui stanno cercando di accreditarsi come mediatori e stanno nornalizzando le relazioni con Tel Aviv.
In risposta alla guerra nella Striscia di Gaza, gli Houthi hanno iniziato a lanciare droni e missili contro Israele, dalle acque del Mar Rosso, utilizzando mezzi navali veloci di piccole dimensioni che gli osservatori più acuti notano somigliare molto a quelle dei Pasdaran iraniani attivi come componente d’assalto della marina di Teheran. La maggior parte è stata intercettata. Il 19 novembre 2023, gli Houthi hanno dirottato una nave commerciale nel Mar Rosso e da allora ne hanno attaccate più di due dozzine con droni, missili e motoscafi. Gli Houthi affermano di prendere di mira le navi di proprietà, battenti o gestite da Israele, o che sono dirette ai porti israeliani. Tuttavia, molte delle navi attaccate non hanno alcun legame con Israele. Hanno colpito anche navi statunitensi ed inglesi, innescando di fatto uno dei tanti conflitti in Medio Oriente, una nuova guerra di area che rischia di protrarsi per lungo tempo.
Nel Mar Rosso incrociano navi militari americane, britanniche e ora anche una missione navale della Ue, la “Aspides”, al momento condotta dalle navi da guerra italiane Martinengo e francese Languedoc, cui presto si aggiungerà anche la tedesca Hessen e una unità della Marina Greca, oltre a velivoli da ricognizione navale italiani che opereranno congiuntamente ai caccia Mirage francesi rischierati sulla base aerea di Gibuti. Ha detto il ministro della difesa italiano, Guido Crosetto: “La crisi del Mar Rosso va vista come effetto del conflitto in atto nella Striscia di Gaza, ma ha una portata molto più ampia. Siamo nel mezzo di un conflitto ibrido globale che si gioca contemporaneamente su più fronti in differenti parti del mondo, in Medio Oriente, nell’Indo-Pacifico e nella guerra tra Russia e Ucraina”. Riguardo agli Houthi, Crosetto ha reso pubbliche informazioni che i servizi di intelligence conoscono dall’inizio del nuovo fronte di crisi nel Mar Rosso: ” (Gli Houthi, ndr) Sono il gruppo più organizzato dell’entourage iraniano, molto più di Hezbollah, hanno capacità propria di produzione di armi, hanno resistito per anni agli attacchi di Arabia Saudita ed Emirati Arabi”. Al punto che “valgono dieci volte Hamas” e negli ultimi due mesi hanno sferrato oltre 30 attacchi contro mercantili in transito.
Il sempiterno conflitto tra Curdi e Turchia
Tra i conflitti in Medio Oriente che durano da più tempo, merita di essere ricordato quello che vede protagonisti i Curdi, nell’incudine tra Turchia Siria e Iraq, nazioni in cui è diviso questo popolo decimato da decine di guerre, e il governo Turco. La guerra di Ankara contro i curdi della Siria, accusati di essere all’origine del dell’attività terroristica del PKK in Turchia, dura da decenni, l’ultimo episodio solo tre settimane fa. E’ di fatto un fronte mai chiuso delle guerre in Medio Oriente e certamente quello più sanguinoso per via della sua durata. Inoltre, la guerra di Ankara contro i Curdi non fa che alimentare lo scontro tra la stessa Turchia e la Siria, dove si rifugiano i gruppi curdi che a suo tempo hanno dato un notevole contributo alla guerra all’ISIS guidata degli Usa.
A differenza dei curdi iracheni, che da diverso tempo hanno una loro regione autonoma all’interno dell’Iraq (il Kurdistan Iracheno), i curdi siriani sono riusciti a ottenere una certa autonomia solo negli ultimi anni, dopo l’inizio della guerra in Siria, rafforzando il loro controllo sulla regione che abitano, il “Rojava”, versione breve di “Rojava Kurdistan” (cioè “Kurdistan occidentale”). Nel momento della loro massima espansione i curdi siriani controllavano buona parte del nord della Siria, da est a ovest, lungo il confine con la Turchia. “I curdi del PKK, e quindi anche i curdi siriani, non sono solo uno dei nemici del governo turco guidato dal presidente Recep Tayyip Erdoğan; sono il nemico per eccellenza, quello principale e da sconfiggere a ogni costo”, scriveva Il Post in un bell’approfondimento di qualche anno fa.
Lo scorso 13 gennaio 2024, la Turchia ha bombardato con le sue forze aeree diverse località presumibilmente legate a gruppi curdi in Siria e nel nord dell’Iraq, come rappresaglia per la morte di nove soldati turchi in Iraq avvenuta qualche giorno prima. Il ministero della Difesa turco ha affermato che gli attacchi hanno preso di mira 29 località, tra cui “grotte, bunker, rifugi e installazioni petrolifere” appartenenti al fuorilegge Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) e alle Unità di protezione popolare (YPG), un gruppo curdo siriano che è stato un elemento centrale nella coalizione alleata degli Stati Uniti contro l’ISIS.