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Vito Schifani, il figlio svela come ha scoperto che la mafia aveva ucciso il padre

20/05/2022 16:42 - Aggiornamento 20/05/2022 16:44

«Vito Schifani poteva essere tante cose. Poteva essere mio padre. Poteva essere un marito. Mentre l’unica cosa certa è che era un poliziotto ed è morto a Capaci il 23 maggio del 1992 alle 17.58». Comincia così l’intervista che Emanuele Antonino Schifani ha rilasciato al «Corriere della Sera». Quando il padre morì assieme al giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e altri due membri della scorta, lui aveva appena 4 mesi. Oggi è capitano della Guardia di Finanza, comanda una compagnia di 170 uomini alla Scuola ispettori e sovrintendenti dell’Aquila, dove si stanno formando 3.000 divise delle Fiamme gialle.

vito schifani

Vito Schifani, il figlio svela come ha scoperto che la mafia aveva ucciso il padre

Ha svelato come ha scoperto che suo padre era stato ucciso dalla mafia: «Non c’è mai stato un giorno preciso in cui mi sono seduto e mia madre mi ha raccontato la nostra storia. C’è stato però un episodio, quando ero a Palermo, che mi ha fatto scontrare con la verità. Avevo 3 anni e, alla mia festa di compleanno, un bambino mi disse: “Tanto tu non hai il papà”. Andai a piangere da mia mamma e lì ci fu la prima spiegazione. La tragica morte di mio padre è stata una consapevolezza maturata con la crescita: c’è voluto molto tempo per capire quale era la mia storia», ha detto il figlio di Vito Schifani. «La svolta c’è stata nel ‘95, quando avevo 3 anni. Mia madre Rosaria, all’epoca dell’attentato, aveva 22 anni. Si ritrova sola. Cerca una spiegazione. Una spiegazione che non riesce a trovare. E probabilmente, nella ricerca di questa spiegazione, incontra quello che poi è stato mio padre. Lo conosce a Palermo. È stato, secondo me, un segno del destino, perché indossava un’uniforme, seppure diversa. Lavorava al Gico, il reparto della guardia di Finanza che fu costituito per reprimere il fenomeno mafioso. Non gli ho mai chiesto come si sono conosciuti. Ma è stato sicuramente un evento che ha cambiato il corso della vita mio e di mia madre. Nel ‘95 ci siamo trasferiti a Firenze. E lì è appunto ripartita la vita. Poi ci siamo trasferiti in Liguria: lì sono cresciuto. Ho fatto il liceo e realizzato il mio sogno: entrare nella Guardia di Finanza. Un obiettivo raggiunto anche grazie all’influenza positiva di avere un’altra divisa in casa. Il merito è di mia madre e dei valori che mi sono stati insegnati da Gianluigi, mio padre», ha confidato il 30enne.

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«Di sicuro non provo odio, ma un sentimento di rabbia in passato sì»

A proposito del video in cui la madre in chiesa dice «Vi perdono, ma inginocchiatevi», il giovane Emanuele Antonino Schifani ha detto: «Quei 2 minuti e 20 secondi sono complicati da guardare per tante persone che io conosco. Ho difficoltà a vederle anche io. Ovviamente ora li vedo con gli occhi di un uomo di 30 anni: a 16 avevo altri occhi. Ma c’è una cosa che accomuna i 16 ai 30: il senso di dolore provocato da quelle immagini. Ed è un senso di dolore che accomuna me a tutti coloro che non riescono a vedere con tranquillità quelle immagini, a meno che tu non sia senza cuore e non ti renda conto ciò che è successo 30 anni fa». Nutre odio per i responsabili della strage di Capaci? «Io, oggi, di sicuro no. Quello che ho provato in passato, e che adesso si è acquietato, è un sentimento di rabbia. Ho sempre pensato che l’odio sia una pulsione inutile», ha risposto.Il 23 maggio saranno 30 anni: «E come sempre sarò a Palermo, in quell’Aula bunker dove tutto è nato», ha detto Schifani. Leggi anche l’articolo —> Anniversario strage di Capaci, se la Giustizia in Italia è ormai un feticcio

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