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Coronavirus “caccia all’untore bianco”: in Africa episodi di violenza contro gli italiani

25/03/2020 15:39 - Aggiornamento 26/03/2020 00:44

L’aumento esponenziale del numero di contagi da Coronavirus in Africa cresce assieme alla paura di essere infettati. Nel continente nero siamo quasi a quota 2.300 positivi in 43 paesi su 54. Lo stigma sociale, ossia l’associazione negativa tra un individuo o un gruppo di persone che hanno in comune determinate caratteristiche e una specifica malattia, ha investito «l’uomo bianco». Una forma di ‘razzismo’, determinata da almeno tre fattori: il fatto che il Covid-19 sia un’epidemia nuova su cui aleggiano falsi miti e stereotipi; le persone stesse che hanno paura appunto dell’ignoto; e l’idea di buttare addosso questo smodato timore agli “altri”. Da qui gli episodi di tensione che si stanno registrando in paesi come Kenya ed Etiopia. Parliamo di aggressioni verbali, ma anche fisiche che hanno coinvolto statunitensi, europei, inclusi nostri connazionali. A denunciare l’«emergenza nell’emergenza» il quotidiano ‘Repubblica’.

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Coronavirus “caccia all’untore bianco”: in Africa episodi di violenza contro gli italiani

In un articolo appena pubblicato Antonella Napoli ha parlato del caso dell’ambasciatore italiano in Burkina Faso, Andrea Romussi, considerato «importatore del virus» nel Paese, pur essendosi ammalato di coronavirus nella capitale Ouagadougou. L’accusa è partita dalla ministra della Salute burkinabé Claudine Lougué, che in tv aveva definito Romussi «l’ambasciatore italiano tornato dalle vacanze», benché il diplomatico fosse stato l’ultima volta nel Belpaese a novembre. Ma non è finita qui: numerose minacce e aggressioni sono state segnalati in Camerun, Ghana e Tanzania. Per questo motivo l’ambasciata d’Italia a Dar Es Salaam ha consigliato ai nostri connazionali di limitare i movimenti. Un’ondata di razzismo che ha investito però anche il Kenya: «Abbiamo visto diminuire la presenza delle persone nelle strade gradualmente. Sono spariti quasi tutti gli europei», ha riferito padre Renato Kizito Sesana, missionario che da anni vive lì.

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Lo stigma sociale sfocia in discriminazione e diniego: “un’emergenza nell’emergenza”

«Emergenza nell’emergenza» sì, perché il Covid-19 comunque rappresenta una minaccia per il continente africano. A Nairobi la polizia si è vista costretta a sparare sulla folla per far disperdere le persone che, nonostante i decreti governativi, erano tutti insieme. Come se lo spettro del coronavirus non ci fosse. «Tutti i servizi religiosi in chiese e moschee sono sospesi, ai funerali è ammessa solo la presenza di familiari più stretti. Tutti i bar saranno chiusi fino a nuove disposizioni e i ristoranti potranno operare fino alle 19:30, ma solo come take away, i clienti non potranno essere serviti ai tavoli. Tutti sono invitati a restare a casa, ma non è ancora un ordine. Anche per questo non tutti si attengono alle misure disposte dalle autorità, ma il governo è pronto a schierare l’esercito», ha raccontato sempre padre Renato.

Coronavirus in Africa: la Farnesina mette a disposizione un volo per gli italiani che vogliono rientrare

«In Kabiria Road fino a ieri sembrava tutto normale: negozi e bancarelle aperte, gente pressata nei matatu, assiepata intorno ai venditori di frittelle, di pannocchie arrostite, di chapati e salsicce auto-prodotte. Così si rischia il disastro», ha detto allarmato il missionario. Non c’è però troppo da stupirsi. Le più immediate manifestazioni dello stigma sociale sono: il diniego, che comporta il non rispetto delle norme e dei comportamenti ‘sani’, e la discriminazione, che sta colpendo ‘l’untore bianco’. Proprio quest’ultima caccia preoccupa la Farnesina, che ha messo a disposizione un volo commerciale per tutti gli Italiani che vogliono tornare in patria.

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