L’immagine dei pazienti a pancia in giù nelle terapie intensive è entrata prepotentemente nel nostro quotidiano, un simbolo di questo ‘mostro’ invisibile chiamato Coronavirus. Giovanni Viafora, giornalista de ‘Il Corriere della sera’, ha intervistato il dottor Luciano Gattinoni, il medico che ha scoperto questa particolare tecnica, che consente una migliore ossigenazione dei polmoni. In tutto il mondo se migliaia di persone colpite da Covid-19 riescono ad uscire vive dalla terapia intensiva, lo devono, in parte, proprio al professore emerito alla Statale di Milano (per anni primario del Policlinico del capoluogo lombardo) che ha avuto l’illuminante intuizione di far mettere proni i pazienti intubati con gravi insufficienze respiratorie.
Coronavirus, perché i pazienti a pancia in giù in terapia intensiva
«E pensare che all’inizio ridevano tutti di quella manovra…», ha esordito il professor Luciano Gattinoni, classe 1945, che ha spiegato: «Nei primi tempi si riteneva che alcune gravi insufficienze respiratorie, che noi chiamavamo ARDS (ovvero, sindrome da di stress respiratorio acuto), interessassero tutto il polmone. Fummo i primi a fare le tac polmonari, vedendo invece che la parte superiore del polmone era piena d’aria, mentre la parte compromessa era quella più vicina alla colonna vertebrale. Immagini un tondo, metà chiuso e metà aperto. Avevamo pensato che mettendo il paziente a pancia in giù il sangue sarebbe andato nella parte aperta e ci sarebbe stata una ossigenazione migliore. E questo in effetti succedeva».
Il medico ha aggiunto: «Poi rifacendo la tac capimmo che il miglioramento non era tanto dovuto all’ossigenazione, quanto al fatto che in posizione prona le forze si distribuiscono nel polmone in modo più omogeneo. Pensi ad un polmone sottoposto all’energia meccanica del respiratore. È come se gli venissero dati continui calci: tam, tam, tam. Ovviamente più questa forza viene distribuita omogeneamente, meno danni fa. Adesso questa tecnica è entrata nel bagaglio delle conoscenze ed è usata in tutto il mondo».
«In terapia intensiva non guariamo nessuno, compriamo solo il tempo per l’organismo per organizzare le difese…»
Il dottor Gattinoni ha raccontato come è nata l’idea: «È una lunga storia. Già le donne lombarde tenevano i bambini che facevano fatica a respirare a pancia in giù e poi davano loro dei colpetti sulla schiena. Le prime manovre mi ricordo che le facemmo a fine anni Ottanta. Non fu facile far passare l’idea, forse anche perché era a costo zero». Una bomba ad orologeria il Covid-19, che ha sconvolto il mondo intero: «In terapia intensiva non guariamo nessuno, compriamo solo il tempo per l’organismo per organizzare le difese. Dobbiamo tenere il paziente vivo, assicurare uno scambio gassoso al minor prezzo possibile, cioè evitare i danni che sono sempre associati alla ventilazione meccanica. Ma questa è una malattia lunga», ha concluso il medico, uno dei tanti ‘eroi’ di questa sfiancante guerra in cui del nemico si sa ancora troppo poco.
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