La Westminster Magistrates’ Court di Londra ha ufficialmente emesso l’ordine formale di estradizione negli Stati Uniti per Julian Assange. E’ successo durante la breve udienza a cui l’attivista ha assistito in videocollegamento dalla prigione di Belmarsh. A meno che non arrivi un ricorso dell’ultimo minuti all’Alta Corte, ora bisognerà organizzare il trasferimento. Ma chi è Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, e perché si trova in questa situazione?
Chi è Julian Assange, il fondatore di Wikileaks
Nato nel 1971 nel Queensland, in Australia, Assange è diventato noto nella comunità internazionale grazie alle sue competenze informatiche. Negli anni ’80, infatti, è stato uno dei primi “cyberpunk“, gli attivisti digitali intenti a utilizzare il web per fini libertari e di informazione sociale. Ed è proprio in quel periodo che entra a far parte del gruppo hacker conosciuto come International Subversives. Negli anni novanta, poi, lavora come sviluppatore di software e attraversa una serie di vicissitudini giudiziarie legate alle sue attività di intrusione nei server istituzionali australiani e stranieri, fino alla creazione della piattaforma Wikileaks, nata nel 2006.
Creata sul modello di Wikipedia, Wikileaks diventa immediatamente un portale comune dove pubblicare rivelazioni segrete. Dopo aver raccontato della repressione cinese in Tibet e delle esecuzioni extragiudiziali della polizia in Paesi come il Kenya, Wikileaks è diventata famosa grazie a diversi whistleblower interessati, tanto che nel 2010 riesce a mettersi in contatto con Bradley Manning, ex soldato statunitense. Dopo aver conquistato la sua fiducia, il veterano fa arrivare alla piattaforma decine di migliaia di documenti riservati di cui si era appropriato mentre svolgeva il suo incarico di analista di intelligence durante le operazioni militari in Iraq. La pubblicazione di una serie di quei documenti segreti, conosciuta come il Cablegate, fa scoppiare la fama di Assange. E causa un vero e proprio vortice politico e mediatico. Si può dire infatti che quello è il momento di inizio della guerra giudiziaria aperta nei suoi confronti.
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Julian Assange e le accuse giudiziarie
Nel dicembre del 2010 l’attivista australiano viene arrestato a Londra, in seguito a un mandato di cattura internazionale per stupro e molestie emesso da un tribunale svedese. I primi ad accogliere la richiesta di caccia sono gli USA e il Regno Unito. In tutta risposta Assange nel 2011 ha annunciato di aver reso consultabile in rete, tramite una parola chiave, l’intero archivio dei cablogrammi contenenti una serie di informazioni riservate inviate dalle ambasciate statunitensi al Dipartimento di Stato. Nel maggio 2012, poi, il caporedattore di Wikileaks riesce a trovare asilo nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dopo il blocco da parte della Corte Suprema di Sua Maestà dell’ultimo tentativo di evitare l’estradizione in Svezia di Assange.
L’attivista è riuscito a nascondersi nell’ambasciata per ben sette anni, e in quel periodo ha continuato la sua attività. Nel 2016, tramite Wikileaks, rivela come i dirigenti del Partito Democratico USA avessero tramato contro il candidato della sinistra Bernie Sanders, affinché Hilary Clinton vincesse le primarie. Tutto questo è andato avanti fino al 2 aprile 2019. Quel giorno il nuovo presidente dell’Ecuador, Lenin Moreno, accusa Assange di aver violato le condizioni per l’asilo politico. Così l’11 aprile la polizia britannica riesce a ottenere il permesso di entrare nell’ambasciata e prelevare Assange, e si riapre l’indagine per l’accusa di stupro.
Da quel momento in poi per Assange inizia una vera crociata giudiziaria. Il 1 maggio viene condannato a 50 settimane di prigione per aver violato le condizioni di libertà vigilata, rifugiandosi nell’ambasciata dell’Ecuador. Il 23 maggio, poi, il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti aggiunge 17 capi d’accisa a quello di pirateria informatica, in virtù delle leggi antispionaggio.
Ok all’estradizione di Julian Assange
Il 31 maggio interviene l’Onu che, tramite il relatore speciale sulla tortura Nils Melzer, afferma che le condizioni di Assange presentano “tutti i sintomi della tortura psicologica. E per questo la sua vita è in pericolo”. Il 19 novembre, poi, la Svezia ritira l’accusa di stupro per mancanza di prove. L’anno dopo, il 24 febbraio 2020, la giustizia britannica inizia a esaminare la richiesta presentata dagli Stati Uniti. A rallentare la procedura si inserisce lo scoppio della pandemia e l’appoggio pubblico a favore di Assange. Così, il 4 gennaio 2021, arriva un primo verdetto: Assange può rimanere nel Regno Unito perché, se estradato in Usa, potrebbe suicidarsi. Immediatamente Washington annuncia il ricorso.
Oggi, poi, il rovescio della medaglia. La Westminster Magistrates’ Court di Londra ha emesso l’ordine formale di estradizione negli Usa per l’attivista australiano che rischia fino a 175 anni di carcere per aver contribuito a diffondere documenti riservati su crimini di guerra commessi dalle forze americane in Iraq e in Afghanistan. Il consenso della ministra dell’Interno Patel è atteso entro 28 giorni. >> Tutte le notizie di UrbanPost