Ogni sette anni la corsa al Quirinale è una gara che si gioca nell’ombra. Regola numero uno: far finta di non essere interessati al ruolo. E’ un’imposizione non scritta, ma che ciclicamente si ripete. Anche questa volta. Ormai è da un po’ che ci si chiede chi sarà il prossimo presidente della Repubblica italiana. Mattarella ha già fatto capire di non voler replicare l’esperienza, e da dietro le quinte incominciano a spuntare i nomi più papabili. D’altronde, queste elezioni sono un po’ come gli effetti scenografici al cinema: al pubblico si fa vedere solamente il colpo di scena. Ma dietro, in realtà, si nasconde un lungo, delicato lavoro di equilibri.
Chi sarà il prossimo presidente della Repubblica?
Il semestre bianco scatterà il prossimo 3 agosto. Per le elezioni, poi, dovremo aspettare febbraio 2022. Serve ancora un po’ di pazienza, quindi, per scoprire chi sarà il nuovo presidente della Repubblica. Intanto, però, qualche nome tra i corridoi sta volteggiando. Un esempio è quello di Romano Prodi che, come la legge non scritta impone, ovviamente si è già dimostrato disinteressato a ricoprire questo ruolo. Formalmente, tra l’altro, un vero e proprio candidato ancora non c’è, ma ci sono tanti “indisponibili”. O almeno, pubblicamente parlando. L’unico su cui non si discute è l’attuale capo dello Stato Mattarella. Il suo no sembra essere davvero convinto, e considerando che il suo sarebbe il secondo mandato, è difficile non crederci.
Sebbene nella nostra storia altri presidenti della Repubblica possono aver ricoperto il ruolo per due incarichi successivi, normalmente questa è una cosa che si tende a evitare. Un po’ anche per non dare l’immagine di una monarchia repubblicana. Il doppio mandato, insomma, deve essere al massimo un’eccezione, non una regola. Anche se, è doveroso ammetterlo, di regole chiare sulla scelta del capo dello Stato sembrano essercene poche. E di questo anche Aldo Moro ne era tanto convinto quanto spaventato. Nel 1962, infatti, in una lettera indirizzata a Nenni ammise di essere piuttosto turbato dalle “oscure modalità” con cui in Italia viene selezionato il presidente della Repubblica. E’ chiaro, però, che si parla di modalità non ufficiali: non è la Costituzione a essere poco limpida, bensì la prassi.
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Il meccanismo italiano delle “non candidature”
Come riporta Michele Ainis su Repubblica, un punto di inizio di questo modus operandi lo si può ricollegare all’11 maggio 1948. In quella data fu eletto Luigi Einaudi. Proprio quella mattina divenne regola vietare le candidature ufficiali. E’ lo stesso giorno nel quale Togliatti chiese una breve sospensione delle votazioni per aprire un dibattito sulle candidature, proposta che si scontrò tuttavia con il veto di Democrazia cristiana. Una presa di posizione che portò all’abbandono dell’Aula da parte della destra, e a una votazione di scheda bianca della sinistra.
Chiaramente, una pseudo spiegazione di questi metodi, negli anni, è sempre stata trovata. In particolare dai giuristi. C’è infatti chi sostiene che la presentazione della candidatura potrebbe giocare a sfavore del futuro Presidente, chi afferma che se il nome del candidato fosse pubblico, allora il politico dovrebbe presentare agli elettori il suo programma. Un programma che, in quanto capo dello Stato, coincide con la Costituzione. Altri, poi, sottolineano che il presidente della Repubblica viene scelto dagli eletti, non dagli elettori. Insomma: tutte motivazioni piuttosto nebulose. E che lasciano il tempo che trovano. La verità è che trai corridoi dei Palazzoni Romani esistono nomi e cognomi pronti a farsi eleggere presidenti della Repubblica, così come sono già stati stilati i programmi.
Tuttavia, sono informazioni che non devono arrivare ai cittadini, che in questo contesto sono riconosciuti come occhi indiscreti. Come se non fosse anche affar loro. >> Tutte le notizie di UrbanPost