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Stato-Mafia, la rabbia del fratello dell’agente morto con Borsellino

24/09/2021 09:12 - Aggiornamento 24/09/2021 09:21

Stato-Mafia sentenza – Cadono le accuse per gli ufficiali dei carabinieri Mori, Subranni e De Donno e anche per Marcello Dell’Utri. Lo ha stabilito la Corte d’Assise d’Appello di Palermo con la sentenza pronunciata ieri pomeriggio, dopo tre giorni di camera di consiglio. Ribaltata completamente quella di primo grado che il 20 aprile 2018 aveva giudicato colpevoli gli ex carabinieri. Per Marcello Dell’Utri l’assoluzione è ancora più profonda: «Non ha commesso il fatto». A “La Repubblica” ha espresso tutta la sua rabbia Luciano Traina, il fratello di uno degli agenti di scorta morti con il giudice Paolo Borsellino, il 19 luglio 1992. È un ex poliziotto della squadra mobile di Palermo, uno di quelli che arrestò Brusca.

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Stato-Mafia, la rabbia del fratello dell’agente morto con Borsellino

“Grazie anche a nome di Claudio”, ha scritto Luciano Traina su Facebook dopo la sentenza della corte d’Assise d’Appello di Palermo che ha assolto Mori e Dell’Utri. L’uomo ha pubblicato una foto del funerale, giustificando così la sua scelta: «Ci hanno detto che la trattativa non fu reato. Ma non possiamo dimenticare che quel dialogo segreto dei carabinieri del Ros con l’ex sindaco Ciancimino accelerò la morte di Paolo Borsellino e dei ragazzi della scorta. L’ha detto Giovanni Brusca, riferendo le parole di Totò Riina nel giugno 1992: ‘Si sono fatti sotto, dobbiamo dare un altro colpetto’. Ovvero, il capo di Cosa nostra volle alzare il prezzo della trattativa. E diede mandato di organizzare la strage di via D’Amelio». La Corte D’Assise ha stabilito però che il fatto non sussiste: «Sono amareggiato. Io ho fatto il poliziotto per tanti anni a Palermo, alla squadra mobile. Mai mi sarei sognato di andare a dialogare con i vertici dell’organizzazione mafiosa. Se l’avessi fatto, mi avrebbero arrestato», ha replicato Traina.

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«Mi verrebbe di abbandonare tutto. Ma poi penso: che messaggio è stato dato ai giovani con questa sentenza?»

«Mi verrebbe di abbandonare tutto. Ma poi penso: che messaggio è stato dato ai giovani con questa sentenza? Un messaggio devastante: trattare con la mafia non è reato. E allora mi dico che devo continuare ad andare nelle scuole e nelle piazze. Per testimoniare i valori per cui sono morti Paolo Borsellino, mio fratello Claudio e tanti martiri di Palermo», ha detto a Salvo Palazzolo Luciano Traina. Leggi anche l’articolo —> Prato, prete sieropositivo partecipava a festini: accusato di lesioni gravissime

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