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Strage Capaci anniversario, fratello agente scorta Borsellino: «Non ho fiducia nello Stato, solo passerelle»

23/05/2020 09:03 - Aggiornamento 23/05/2020 09:07

23 maggio 1992: l’Italia viene squarciata dall’attentato al magistrato Giovanni Falcone in quella che sarà ricordata per sempre come la strage di Capaci, un ricordo che oggi – nel 28esimo anniversario – brucia ancor di più nelle parole di Luciano Traina, fratello dell’agente Claudio, parte della scorta di Paolo Borsellino, ucciso da lì a poco nell’altrettanto tristemente nota strage di Via D’Amelio. Saltate le consuete commemorazioni a causa dei divieti imposti dal coronavirus, il fratello dell’agente morto per mano della mafia si apre all’Adnkronos non senza tradire amarezza e rabbia.

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Strage Capaci anniversario, il fratello di un agente di Borsellino: «Stanco di promesse lunghe 28 anni, di vuote parole»

«Anche senza le limitazioni imposte dall’emergenza Covid-19 – dice Luciano Traina, anche lui per 40 anni in servizio in polizia – non avrei partecipato ad alcuna manifestazione. Sono stanco delle solite passerelle, di promesse lunghe 28 anni, di vuote parole a cui non seguono mai fatti. Sa qual è la verità? Non ho più fiducia in questo Stato, uno Stato che resta sempre in debito verso chi ha dato la propria vita per il Paese». Insieme al fratello, in quella strage di via D’Amelio, anche Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Cosina e Agostino Catalano. «Siamo stanchi di subire ingiustizie, – prosegue dunque Traina – stufi di politici che vengono qui, nei luoghi in cui si fa memoria, dove sono morti i nostri familiari, e sfilano con le loro facce tristi come fossero loro le vittime. Seduti in prima fila a favore di telecamere e fotografi, vengono a stringerci la mano e a prenderci per i fondelli. È ora di dire basta a questa ipocrisia».

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«Bonafede dovrebbe dimettersi, anche in segno di rispetto verso i familiari delle vittime di mafia»

Solo qualche settimana fa la scarcerazione dei boss è stata per Luciano, così come per tutti, l’ennesima pugnalata. «È stato come uccidere i nostri cari una seconda volta», dice il fratello della vittima. «Non parliamo di piccoli rapinatori, – incalza dunque in riferimento all’“ignoranza” del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede – di ladri di autoradio, ma di uomini che hanno fatto la storia d’Italia all’inverso, di assassini, di stragisti, di persone che si sono macchiate di reati orrendi. Non posso credere che il ministro non fosse stato informato». E a tal proposito afferma: «Dovrebbe fare un passo indietro, anche in segno di rispetto verso i familiari delle vittime di mafia», dice ritenendo i provvedimenti «presi dopo la reazione popolare, dietro l’indignazione generale di un popolo intero».

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«Oggi spiego ai ragazzi il valore delle Istituzioni, ma a volte mi sembra di prenderli in giro»

Non risparmia nemmeno il ricordo dello scorso anniversario, quando le manifestazioni in ricordo della strage di Via D’Amelio si tennero: «Quando sono sceso dal palco, – dice sul ministro – mi ha stretto la mano e mi ha invitato al ministero. Da quel giorno non l’ho più visto né sentito…». Ma è stato solo l’ultimo di una lunga serie: «Tutti i ministri della Giustizia che si sono succeduti in questi anni – aggiunge – hanno promesso il loro impegno per fare luce sulle stragi ma sono passati 28 anni e queste promesse sono rimaste sempre tali». Oggi Traina, dopo 40 anni “in prima linea contro le Brigate rosse e la mafia”, gira per le scuole portando la sua testimonianza ai ragazzi: «Spiego loro cosa significa stare dalla parte giusta, – dice – parlo di giustizia e del valore delle Istituzioni, ma a volte mi sembra di prenderli in giro. Parlo di uno Stato che in 28 anni ci ha restituito solo brandelli di verità. Quella piena? Forse non la sapremo mai, perché ‘le menti raffinatissime’ di cui parlava il giudice Falcone quei segreti se li porteranno nella tomba». >> Arezzo, uccise figlia di 3 anni: il Pm chiede la perizia psichiatrica