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Coronavirus ci si può ammalare più di una volta? La risposta degli esperti

12/03/2020 16:39 - Aggiornamento 12/03/2020 16:46

Tra le tante domande che circolano sui social in queste ore così concitate per il nostro paese, paralizzato dal coronavirus, ce ne è una che desta parecchia preoccupazione: una persona guarita da Covid-19 può infettarsi di nuovo? Un quesito che ha cominciato a circolare dopo la notizia data ai primi di marzo che riferiva di una donna di Osaka risultata positiva al coronavirus (SARS-Cov-2) per una seconda volta, a qualche settimana da una precedente infezione, che l’aveva costretta al ricovero in ospedale. E non si è trattato di un episodio isolato…

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Coronavirus ci si può ammalare più di una volta? La risposta degli esperti

Ci si può ammalare più di una volta di coronavirus? Roberto Burioni, medico e divulgatore scientifico, su Medical Facts, ha cercato di rispondere a quest’interrogativo. Stando allo scienziato la casistica al momento non è sufficiente per affermare con certezza che ci si possa riammalare. È, infatti, probabile ad esempio, che la paziente giapponese non fosse guarita del tutto già dall’inizio. «Esistono dei virus da cui il nostro sistema immunitario non ci protegge anche se li conosce già. È il caso del virus respiratorio sinciziale, oppure dell’epatite C. In questi casi, a differenza dei virus come morbillo e varicella, che una volta presi saranno sempre riconosciuti e neutralizzati dal nostro organismo, i virus possono effettivamente infettare di nuovo, in alcuni casi addirittura in maniera più grave. Ma non sappiamo se questo è il caso del Coronavirus: non abbiamo avuto ancora abbastanza tempo per osservare come si comporta questo virus, soprattutto per distinguere chi si è infettato per la prima volta da chi si è infettato più volte. Ci vorrà del tempo, e uno studio lungo. Quindi, la risposta a questa domanda è, per il momento, ‘non lo sappiamo’».

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Da Roberto Burioni a Marc Lipsitch: del Covid-19 si sa ancora troppo poco

Della stessa opinione Marc Lipsitch, epidemiologo statunitense direttore del Centro per le dinamiche sulle malattie trasmissibili (Università di Harvard, Stati Uniti), che ha spiegato al New York Times che il caso della donna giapponese è interessante, ma che non ci sono molti elementi – né conoscenze ancora approfondite sul coronavirus – che ci aiutino a chiarire se si sia trattato di una nuova infezione o di una recidiva, benché quest’ultima resti l’ipotesi più credibile. Il test potrebbe dare esito negativo anche se il paziente analizzato è ancora infetto. Il Post riporta l’esempio dell’epidemiologo statunitense Marc Lipsitch, che ha fornito un’efficace analogia. Per rendere l’idea questi ha spiegato che è come quando si toglie la muffa da un barattolo di marmellata: dopo, la superficie sembra essere priva di muffe, ma non si può escludere che ce ne siano ancora nel barattolo e che rispuntino. «Il test per il coronavirus è positivo se il virus è presente in quantità sufficienti nel momento in cui fai il tampone. Un test negativo non dice in modo definitivo che non ci sia più il virus in quella persona», ha specificato Lipsitch.

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