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Come il dodo delle Mauritius: perché alcuni Paesi hanno risposto peggio di altri alla pandemia

02/02/2021 15:07 - Aggiornamento 02/02/2021 17:08

Il Coronavirus ha infettato più di 100 milioni di persone nel mondo, e ha provocato più di 2 milioni di vittime. Se tutti i continenti sono stati toccati dal virus, è però evidente che alcuni Paesi hanno risposto diversamente – meglio – rispetto ad altri. Ne è un esempio il Giappone, che su una popolazione di 126 milioni di persone, ha registrato poco più di 5mila morti. Con una popolazione di simili dimensioni, il Messico ne ha contate 150mila, e il contagio continua a cavalcare. Cosa può spiegare una tale disparità nella distribuzione dei casi nei Paesi del mondo? Ce lo spiega l’evoluzione, e in particolare l’esempio del dodo delle Mauritius.

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coronavirus nel mondo

La ricerca sui casi di Coronavirus nel mondo

In una ricerca pubblicata su The Lancet Planetary Health a gennaio 2021, Michele Gelfand, professore all’Università del Maryland, ha studiato le diverse risposte dei Paesi del mondo alla pandemia. Gelfand e il suo team le hanno ricondotte alle caratteristiche evolutive delle diverse popolazioni. Vediamo perché.

Secondo la ricerca “The relationship between cultural tighness-looseness and COVID-19 cases and deaths: a global analysis”, le comunità con alle spalle una storia di minacce croniche – disastri naturali, malattie infettive, carestie o invasioni – sviluppano un’attitudine a seguire le regole con più rigore. Evoluzionisticamente parlando, ha senso: seguire le regole ci aiuta a sopravvivere al caos e alle crisi. Al contrario, i gruppi più “sciolti”, meno portati a seguire le restrizioni, sono coloro che hanno dovuto affrontare meno pericoli e hanno potuto mantenere un atteggiamento più permissivo.

Il dodo delle Mauritius: un caso di evoluzione isolata

Quando si parla di evoluzione e di capacità di adattamento ai nuovi contesti, spesso si ricorda la storia dell’uccello dodo. Ora estinto, il dodo abitava l’isola delle Mauritius fino al XVII secolo. Il dodo fu una vittima di ciò che viene denominata “evoluzione isolata”. Avendo vissuto sempre a riparo da ogni minaccia, isolata sull’isola, la specie non sviluppò mai le capacità per competere con altri animali per le risorse, che il dodo aveva sempre avuto a disposizione. Privo dell’istinto di difesa, il dodo si estinse perché divenne la facile preda degli animali portati sull’isola dai coloni.

Come il dodo

In maniera simile al dodo, Paesi come l’Italia, la Spagna, Israele, il Regno Unito e gli Stati Uniti non sarebbero in grado di rispondere adeguatamente alle minacce perché portati dall’evoluzione ad avere un atteggiamento “rilassato”. Al contrario, Paesi come Singapore, il Giappone, la Cina e l’Austria, sarebbero più protesi al rispetto delle regole. Non significa che alcune comunità dovranno estinguersi, né esistono, di base, popolazioni “migliori” di altre. Tuttavia la distinzione tra culture “rilassate” e culture “rigide” può generare, come nel caso del Coronavirus, risposte molto diverse, con conseguenze molto diverse.

La risposta al segnale d’allarme

Su The Guardian, Gelfand scrive che le culture “rilassate” hanno registrato 5 volte il numero dei casi delle culture “rigide”, e più di 8 volte il numero di morti. E’ interessante riportare anche che le comunità “rilassate” avevano meno paura di contrarre il Covid, anche mentre i contagi schizzavano alle stelle. Nello specifico, le persone spaventate erano il 49%, mentre nelle culture rigide erano il 70% della popolazione. Esattamente come il dodo, i gruppi abituati a bassi livelli di pericolo non hanno risposto prontamente al “segnale d’allarme”, ovvero alla pandemia.

Coronavirus nel mondo: la risposta dei Paesi “rilassati”

In una società che premia l’iniziativa e l’innovazione, come quelle di molti Paesi occidentali fondati su un modello capitalistico, quelli che normalmente consideriamo vantaggi possono trasformarsi in ostacoli alla sopravvivenza, quando il contesto cambia. Gli Stati Uniti, Paese della creatività e dell’auto-realizzazione per eccellenza, sono un esempio lampante. Le ricerche del King’s College di Londra hanno rivelato che solo un britannico su dieci, dopo l’esposizione a un contatto confermato di Covid-19, si è auto-isolato. Meno di uno su cinque si è auto-isolato dopo aver sviluppato i sintomi.

Esistono eccezioni, anche tra i Paesi “culturalmente sciolti”. I neozelandesi sono una comunità notoriamente “rilassata”, ma sono stati in grado di rispondere alla minaccia rappresentata dalla pandemia in modo straordinariamente efficiente. Avendo modificato le proprie abitudini in base al contesto, i kiwi hanno limitato le morti da Covid-19 ad appena 25. Si tratta di ambidestrismo culturale, ed è quello che tutti i Paesi, sostiene Gelfand, hanno bisogno di adottare. >> Tutte le notizie di cultura

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