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Giovanna Botteri: «A Baghdad le mamme davano valium ai bambini: giocare all’aperto vuol dire bombe»

04/06/2020 18:43 - Aggiornamento 04/06/2020 18:46

La storica inviata Rai Giovanna Botteri, presidente di Giuria del Premio Luchetta 2020, si è raccontata sulle pagine de ‘Il Corriere della sera’. La giornalista triestina che ha narrato 25 anni di conflitti sparsi nel mondo, da quello in Bosnia a quello in Iraq, a proposito della sua attività professionale che fa i conti da vicino con la sofferenza ha dichiarato: «Bisogna sempre guardare la guerra con gli occhi degli innocenti, delle persone più deboli ed esposte, dei disarmati. Ogni conflitto, ogni bombardamento, si porta dietro una generazione perduta, una generazione cresciuta con il sentore della paura. Il prezzo della guerra è sempre terribile. Se ti abitui alla morte, se non distingui più la linea rossa che fa di te una persona che racconta l’ orrore, se non senti più il dolore significa che hai perso la speranza. Io credo sia qualcosa a cui non ci si abitua mai, per fortuna e per sfortuna. E per farlo devi continuare a provare rabbia per l’ ingiustizia che racconti».

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Giovanna Botteri: «A Baghdad le mamme davano valium ai bambini perché giocare all’aperto vuol dire bombe»

Ed essere inviata di guerra significa sì avere coraggio, che non vuol dire però smettere di provare paura. La volta più dura per Giovanna Botteri ha il volto di bimbi strappati alla vita«Parlo della strage di 6 bambini a Sarajevo. Erano andati a giocare con le slitte e sono morti sotto due colpi di mortaio. Con Miran Hrovatin andammo alla morgue, lui uscì in lacrime perché gli sembrava di aver visto suo figlio. A Baghdad le mamme avevano paura di quando i bambini uscivano a giocare, gli davano valium e tranquillanti per farli dormire di più perché stare all’aperto vuol dire schegge, bombe, morte. Ecco la guerra è anche questo: vedi in controluce le persone a cui vuoi bene e pensi: se capitasse a me?», ha dichiarato la giornalista, che da inviata è diventata corrispondente. «Sono ruoli meno diversi di quel che si possa pensare. Si tratta di raccontare le persone, di fotografare quello che succede. Raccontare le cose è anche capire perché avvengono: può essere una guerra o l’ascesa di Trump, ma devi comunque spiegare come questo sia possibile, analizzare il perché. Il dovere dei giornalisti è mettere in guardia, il problema è che siamo sempre inascoltati, il risultato è che ti senti una Sibilla Cumana fallita», ha precisato.

giovanna botteri

«Io anti Trump? Pensavo fosse portatore di valori che potevano essere pericolosi per la società americana»

E a chi l’accusa di essere un anti Trump Giovanna Botteri si sente di rispondere così: «Non sono mai stata anti o pro qualcuno: ho pensato che Trump fosse portatore di valori che potevano essere pericolosi o tossici per la società americana. Non fa parte del nostro mestiere fare i militanti, il giornalista del servizio pubblico deve essere imparziale, ma è legittimo avere dei valori: credo nella necessità della pace e non della guerra, credo nei ponti e non nei muri». Per 12 anni la 62enne ha vissuto a New York, poi lo spostamento a Pechino. Possiamo dirlo, senza troppi giri di parole, i collegamenti di Giovanna Botteri rappresentano uno dei volti dell’emergenza Covid-19. Parlando della censura cinese la giornalista ha dichiarato: «È evidente che il governo ti fa sapere se hai detto delle cose non gradite, ma quel che più conta è la tua appartenenza nazionale: la tua libertà va di pari passo con i rapporti che la Cina intrattiene con ogni singola nazione». Qualche parola poi sul servizio di ‘Striscia la notizia’: «Noi raccontiamo, non siamo quelli che devono essere raccontati: se la donna da soggetto diventa oggetto del racconto c’ è qualcosa di sbagliato. I problemi sono sempre legati all’ immagine: la giornalista che fa tv non dovrebbe mai rispondere a una serie di canoni legati al suo essere donna piuttosto che giornalista». leggi anche l’articolo —> Michelle Hunziker insultata su Instagram dopo il video su Giovanna Botteri

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