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Davvero “beviamo nanoplastiche”? Cosa dice l’inquietante studio (VIDEO)

20/01/2024 11:11 - Aggiornamento 20/01/2024 18:11
nanoplastiche acqua in bottiglia

Nanoplastiche nell’acqua in bottiglia – “Beviamo” la plastica, con una brutale sintesi potremmo dire così. E non stiamo scherzando. Non lo diciamo noi: Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), autorevolissima rivista scientifica, ha di recente pubblicato uno studio a dir poco sconcertante. La gran parte di noi beve l’acqua acquistata, ad esempio, al supermercato o comunque conservata nelle bottiglie di plastica. Ebbene, ecco cosa è stato scoperto. (Continua a leggere dopo la foto)
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nanoplastiche acqua in bottiglia

Microplastiche e nanoplastiche

Per microplastiche intendiamo i minuscoli pezzettini di materiale plastico, particelle solitamente inferiori ai 5 millimetri. Sono così piccole che praticamente si infilano ovunque e, come vedremo in seguito, sono dappertutto. Ora, frammenti ancora più piccoli, minuscoli, detti nanoplastiche sono stati rinvenuti anche nell’acqua che beviamo. L’angosciante lavoro del team di ricercatori delle Università statunitensi Columbia e Rutgers – coordinato da Wei Min, biofisico della Columbia University di New York – ha analizzato campioni di tre comuni marche d’acqua in bottiglia negli Stati Uniti e hanno scoperto che il livello medio di particelle era di 240mila frammenti per ogni litro.
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L’incredibile scoperta

Le nanoplastiche rinvenute nell’acqua sono minuscole particelle corrispondenti a circa un millesimo della larghezza media di un capello, che è largo circa 83 micron, insomma invisibili all’occhio nudo: sono così piccole che possono migrare attraverso i tessuti del tratto digestivo e dei polmoni o addirittura finire nel cervello, nonché nel sangue ove depositano sostanze chimiche potenzialmente dannose come bisfenoli, ftalati, Pfas e metalli pesanti. Altre plastiche comuni trovate dai ricercatori sono: polistirene, polivinilcloruro e polimetilmetacrilato. Anche Sherri Sam Mason – professoressa associata di ricerca, direttore della sostenibilità presso l’Università Penn State Behrend, non coinvolta nello studio – è stata autrice di un’altra ricerca, rilevando l’esistenza di micro e nanoplastiche nel 93% dei campioni di acqua in bottiglia di nove Paesi. (Continua a leggere dopo la foto)
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Le microplastiche invadono il corpo umano

Probabilmente vi starete chiedendo come sia possibile. Non solo è possibile, ma non si tratta neppure di una minaccia inedita. Le microplastiche sono già entrate nella catena alimentare giacché, depositate sul fondo marino, vengono ingerite dai pesci che consumiamo, ed ecco spiegato perché i ricercatori dell’Environmental Science & Technology dell’American Chemical Society, in collaborazione con il team di ricerca dell’Ospedale Anzhen di Pechino, riferiscono di aver trovato microplastiche financo nei tessuti cardiaci e nei polmoni di quindici pazienti sottoposti a interventi al cuore. La scoperta, come si leggeva su la Repubblica del 10 agosto 2023, è avvenuta attraverso tecniche di “imaging laser” a infrarossi diretti. (Continua a leggere dopo la foto)
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Microplastiche nella catena alimentare

La produzione mondiale di plastica si avvicina ai 400 milioni di tonnellate l’anno. Più di 30 milioni di tonnellate vengono scaricate ogni anno nell’acqua o sulla terra e molti prodotti realizzati con plastica, compresi i tessuti sintetici, rilasciano particelle mentre sono ancora in uso. In questo modo, ingerite dai pesci, che poi mangiamo, possiamo dire che microplastiche e nanoplastiche siano finite già nella catena alimentare. Uno scenario davvero da incubo illustrato nel video che riportiamo, in cui il professor Leonardo Durante, , Ambassador Global Teacher Prize, per conto del portale Sanità Informazione illustra i risultati della ricerca pubblicata su Nature Communications e condotta dagli studiosi della California State University. (Continua a leggere dopo il VIDEO)

Tracce diffuse di microplastiche sono state ritrovate anche in campi agricoli trattati con questi fertilizzanti quasi 35 anni fa. Segno che le particelle resistono facilmente al passare del tempo. Quest’ultima scoperta è da attribuire ai ricercatori dell’Università dell’Ontario, in Canada.

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