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Rovigo, proprietaria di un bar: «Non trovo personale, chiudo». La replica: «Pagata 300 euro per 6 mesi»

03/02/2020 13:09 - Aggiornamento 03/02/2020 13:12

Su Il Gazzettino Maura Cavallaro, titolare de Il locale di via Miani, in un’intervista lamentava l’incapacità di trovare personale disposto a lavorare nel suo bar. Oggi Leggo ha raccolto però la testimonianza di Elisa (nome di fantasia), che ha voluto replicare, raccontando la sua storia. Mesi e mesi a lavorare senza un contratto di lavoro e con una ‘paga da fame’. La giovane ha parlato della sua personale esperienza: terminati da poco gli studi, decise di rispondere all’annuncio della signora Cavallaro, quando all’epoca gestiva un altro locale nel cuore del centro storico di Rovigo. «Ho conosciuto la signora Maura più di dieci anni fa, quando verso fine estate ha accettato di farmi un colloquio di lavoro come barista. Le spiegai che non avevo alcuna esperienza in quel campo, ma mi disse che l’avrei fatta con lei. Dopo avere fatto il tradizionale giorno di prova decise di assumermi senza un contratto, chiarendomi sin da subito, però, che non voleva che io lasciassi il lavoro prima della fine della stagione invernale. Pensai che, giustamente, non volesse rimanere senza personale durante il periodo natalizio, in cui la clientela aumenta molto. Inizialmente andò tutto bene: un po’ alla volta mi aveva insegnato alcune cose basilari, come fare il caffè e servire ai tavoli. Come detto, però, non avevo un contratto, solo un foglio in cui c’era scritto che quello era il mio giorno di prova, anche se in realtà erano già passati alcuni mesi dalla mia “assunzione”».

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Rovigo, proprietaria di un bar: «Non trovo personale, chiudo». La replica: «Pagata 300 euro per 6 mesi»

Senza contratto e i pagamenti non andavano meglio«Io mi scrivevo le presenze, ho provato a tenere il conto di quanto avrebbe dovuto pagarmi, ma quel poco che ho percepito me lo dava quando voleva lei. Mi pagava in contanti, non mi mostrava i conti che lei si era fatta. Inizialmente erano otto euro all’ora, ma in realtà erano molti meno. Quando poi ero io a chiederle lo stipendio, mi rispondeva che aveva problemi familiari e me li avrebbe dati più avanti. In circa sei mesi che sono stata lì, lavorando nei weekend, mi avrà dato si e no due o trecento euro». La giovane ha spiegato di avere le prove di quanto raccontato: «Le ho mandato una lettera in cui le chiedevo di rispettare almeno gli accordi che avevamo preso. Per tutta risposta lei mi ha scritto a sua volta una lettera che tengo ancora dall’epoca, nella quale mi rinfacciava di non esserle stata riconoscente per avermi insegnato un mestiere, che quando ho deciso di lavorare lì non avevo un fucile puntato alla testa e che avrei dovuto essere più sensibile verso i suoi problemi personali. Morale della favola: non ho visto un euro, nonostante concludesse la sua lettera dicendomi che avrebbe saldato il suo debito dopo avere parlato con il commercialista».

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«Quando vieni pagato per quello che fai provi soddisfazione e lavori anche meglio»

Un caso non isolato, a detta di Elisa: «So di non essere stata l’unica. Anche una mia amica e altre persone che conosco hanno avuto la mia stessa esperienza: alla fine se ne sono sempre andati via perché non venivano pagati», ha affermato la giovane, che ha poi concluso: «Mi sono sentita offesa per quelle parole. Non è assolutamente vero che i giovani non hanno voglia di fare: non c’ è fiducia, non ci viene data la possibilità di metterci in gioco. Io credo, e questo discorso vale per tutti, non solo per i giovani, che se una persona venisse pagata per la sua effettiva prestazione lavorativa, quella signora non si troverebbe senza personale. Quando vieni pagato per quello che fai provi soddisfazione e lavori anche meglio». 

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