«Ero disperata perché, nonostante alcune distrazioni come studiare l’arabo, vivevo nella paura dell’incertezza del mio destino», così Silvia Romano, la giovane volontaria rapita in Kenya e liberata dopo un anno e mezzo di prigionia lo scorso maggio, ha parlato per la prima volta in un’intervista della sua conversione all’Islam al giornale online ‘La Luce’, di cui è direttore Davide Piccardo, esponente della comunità islamica di Milano. «Ma più il tempo passava e più sentivo nel cuore che solo Lui poteva aiutarmi e mi stava mostrando come. La fede ha diversi gradi e la mia si è sviluppata con il tempo. Sicuramente dopo aver accettato la fede islamica guardavo al mio destino con serenità nell’anima», ha proseguito la 25enne lombarda.
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Silvia Romano: «Per me il velo è simbolo di libertà», la prima intervista dopo il sequestro
«Per me il mio velo è un simbolo di libertà, perché sento dentro che Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima. Per me la libertà è non venire mercificata, non venire considerata un oggetto sessuale», ha dichiarato Silvia Romano. Poi ha aggiunto: «Quando vado in giro sento gli occhi della gente addosso; non so se mi riconoscono o se mi guardano semplicemente per il velo; in metro o in autobus credo colpisca il fatto che sono italiana e vestita così. Ma non mi dà particolarmente fastidioSento la mia anima libera e protetta da Dio». A “La Luce” Silvia Romano ha parlato dell’idea che aveva dell’Islam prima del sequestro: «Era quella che in molti purtroppo hanno quando non ne sanno niente. Quando vedevo le donne col velo in via Padova, avevo quel tipico pregiudizio che esiste nella nostra società, pensavo: poverine! Per me quelle donne erano oppresse, il velo rappresentava l’oppressione della donna da parte dell’uomo. Io non avevo paura del diverso e nemmeno ostilità, ma quel pregiudizio negativo c’era. (…) All’epoca ero una persona ignorante, non conoscevo l’Islam e giudicavo senza mai essermi impegnata a conoscere».
«L’idea di continuare a studiare e rimanere qui non mi andava, volevo fare un’esperienza vera»
Qualche parola poi sul perché ha deciso di recarsi in Africa: «Ho sentito il bisogno di andare e mettermi in gioco aiutando l’altro nel concreto. L’idea di continuare a studiare e rimanere qui non mi andava, volevo fare un’esperienza vera, per crescere e per aiutare gli altri. Sono sempre stata compassionevole, molto sensibile nei confronti dei bambini, delle donne maltrattate, ho sempre sentito molta empatia, ma il passo successivo, quello di agire davvero, di rendermi utile all’altro con l’azione l’ho fatto solo alla fine dell’università». Infine Silvia Romano ha raccontato qualcosa dei suoi mesi di prigionia: «Nel momento in cui fui rapita, iniziando la camminata iniziai a pensare: io sono venuta a fare volontariato, stavo facendo del bene, perché è successo questo a me? Qual è la mia colpa? È un caso che sia stata presa io e non un’altra ragazza? È un caso o qualcuno lo ha deciso? Queste prime domande credo mi abbiano già avvicinato a Dio, inconsciamente. Ho iniziato da lì un percorso di ricerca interiore fatto di domande esistenziali. (…) Capivo che c’era qualcosa di potente ma non l’avevo ancora individuato, però capivo che si trattava di un disegno, qualcuno lassù. lo aveva deciso». leggi anche l’articolo —> Ennio Morricone è morto, aveva 91 anni: addio al grande compositore, fatale una caduta