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Checco Zalone disavventura in treno: «Mi sono ritrovato in un vagone deserto con una faccia da tagliagole»

16/06/2020 16:28 - Aggiornamento 16/06/2020 16:37

Questa sera, martedì 16 giugno 2020, andrà in onda su Canale 5 Cado dalle nubi’, film di Gennaro Nunziante, che ha per protagonista un personaggio omonimo dell’attore che lo interpreta. E possiamo dirlo senza troppi giri di parole: è la commedia più autobiografica di Checco Zalone, all’anagrafe Luca Pasquale Medici, che tempo fa in un’intervista a ‘Vanity Fair’, pubblicata da ‘Dagospia’, rilasciata a qualche giorno di distanza dall’uscita del tanto discusso ‘Tolo Tolo’, ha parlato della «lunga notte che precedette Zelig», vale a dire del periodo complicato, faticoso, prima di ottenere il meritato successo, messo in cassaforte grazie a film come ‘Che bella giornata’, ‘Sole a catinelle’ e ‘Quo vado’.

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Checco Zalone

Checco Zalone e la «lunga notte che precedette ‘Zelig’»:

Nel corso di quell’intervista a ‘Vanity Fair’, rilanciata da ‘Dagospia’, Checco Zalone aveva detto di essere preparato alle pesanti critiche destinate alla canzone ‘Immigrato’: «La soglia della correttezza pretesa e della scorrettezza denunciata dal tribunale degli opinionisti si è vertiginosamente abbassata e in pochissimo tempo. Se si guarda al cinema degli anni ’70 lo si capisce immediatamente. Viviamo nell’assurdo. Siamo a un passo dal corso di laurea in politicamente corretto». E lui la laurea l’ha presa: «In Giurisprudenza, ma non feci un solo giorno di pratica. Mentre mia zia Lina, vicequestore di Polizia in appoggio alla Buoncostume, la stessa che anni prima mi aveva spedito al Cirillo di Bari, un mestissimo semiconvitto per soli maschi, si occupava di trovarmi uno studio in cui esercitarmi gratis come legale, arrivò la chiamata di Zelig. Dopo il jazz, il piano bar e gli spettacolini, feci un provino a Milano. Una gag che a Bari, quando la mettevo in scena, lasciava per lo più indifferenti: “Un bacione alla casa circondariale di Trani con gli auguri di una presta libertà”. Fu un trionfo, il punto di svolta dopo una lunga notte».

Checco Zalone

«Il picco dell’umiliazione fu quando mi chiesero di suonare un pianoforte vestito da Babbo Natale»

Ed è a questo punto, che l’attore pugliese ha confessato quando ha sentito di essere sul punto di ‘grattare il fondo del barile’: «Come dice Daniele Silvestri, più in basso di così non si poteva andare. Il picco dell’umiliazione fu quando mi chiesero di suonare un pianoforte vestito da Babbo Natale. Comunque lo picchiassi o per quanto lo scuotessi con delicatezza, quel piano scassato non restituiva mai una nota tenue. Io sul palco, senza renne, vestito di rosso e di bianco per 50 euro di ingaggio e sotto di me il pubblico inferocito che mi chiedeva di fare meno rumore, di non disturbare la festa», ha dichiarato il comico allora sconosciuto. La fortuna gli ha infatti sorriso nel 2005 quando è arrivato sul palco di Zelig Off, ottenendo così una popolarità smisurata. E fa strano se si pensa che i film di Zalone sono tra i migliori incassi nella storia del cinema italiano«Le ho provate tutte. E non mi sono arreso. Sono stato fortunato, anzi fortunatissimo perché senza una buonissima dose di c*lo non vai da nessuna parte, ma quando ho avuto un’occasione ho dimostrato di sapermela meritare. Mi mandavano in onda, funzionavo, facevo ridere». leggi anche l’articolo —> Bianca Guaccero, due di picche a Checco Zalone: «Non potrei mai dimenticare…»

Checco Zalone

Checco Zalone disavventura in treno: «Mi sono ritrovato in un vagone deserto con una faccia da tagliagole»

La fama l’ha ottenuta a Milano e parlando del suo arrivo nella metropoli ha svelato un aneddoto curioso«Il primo migrante ero io. Un migrante disperato come tutti i migranti. Per andare in trasmissione viaggiavo sulla tratta ferroviaria Bari-Milano con la stessa frequenza di mio nonno Pasquale, capostazione, e in tasca non avevo una lira. Parlavo per ore al telefono con Mariangela, con la quale sto da 15 anni perché lo saprà, all’inizio tra fidanzati non si fa altro che parlare e dormivo a casa di Nicola, un mio amico dell’università che vinse il concorso per entrare in Polizia Penitenziaria e da buon ragazzo del Sud comprò subito una casa a Milano. Periferia nord. Fermata Dergano. In pieno luglio, con un caldo sconvolgente, andavo a fare queste prove in viale Monza, combattevo con le zanzare e poi tornavo a Capurso. Una volta in treno incontro uno di Noicattaro (suo conterraneo). Lombrosianamente, una faccia da tagliagole. Attacca discorso e mi comincia a raccontare una storia pazzesca: era stato in galera e si era trasferito in Germania perché in Italia non poteva più lavorare per aver rubato un motorino. Si immagini la scena: noi due in piena notte in un vagone deserto. Lui, enorme e poco raccomandabile, mi racconta nei minimi particolari il suo arresto. Io, piccolo e magro, visibilmente terrorizzato penso: “adesso questo, i pochi soldi che ho in tasca, me li rapina fino all’ultimo centesimo”». Ma niente di tutto questo: «Ad un certo punto si commuove, gli si riga il volto di lacrime e mi dice: “L’altro giorno mio figlio mi dice che vuole un motorino. E io sai che ho fatto? Gliel’ho rubato. Così almeno non si sporca la fedina penale pure lui”.  Rimango zitto e intanto penso: “Qui c’è un film, qui c’è l’Italia”». 

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