«Gigi Proietti una volta mi disse: ‘Se parlo con uno di destra, mi sento di sinistra, se parlo con uno di sinistra divento subito di destra’. La prevalenza del cretino, in ogni schieramento politico, produce, nelle persone brillanti, effetti simili a quelli descritti magnificamente dall’attore romano», comincia così l’ultimo articolo di Vittorio Feltri pubblicato su “Libero”, dedicato all’artista scomparso lo scorso 2 novembre. «È morto nel giorno dei morti, che per inciso era anche il suo compleanno, a 80 anni spaccati. Una uscita di scena così perfetta da sembrare sceneggiata da Proietti in persona. A Roma, e Gigi era un simbolo della romanità, la tragedia è teatrale, a volte sconfina nella commedia. Lo scetticismo sarcastico dell’Urbe non risparmia nemmeno la nera mietitrice. Anzi, la invoca spesso e volentieri: li mortacci… Sul palco, Proietti era un mago. Non aveva bisogno di testi, era sufficiente un canovaccio. Fu il primo in Italia ad affrontare la platea in completa solitudine», prosegue il direttore bergamasco nel suo interessante editoriale.
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Gigi Proietti, Vittorio Feltri senza freni: «Non andava bene per il cinema italiano, ecco perché»
Tra i pezzi più belli usciti in questi giorni quello di Vittorio Feltri incentrato su Gigi Proietti. Il giornalista ne celebra lo smisurato talento all’altezza soltanto della sua immensa umanità: «Una volta giù dal palco, quel vulcanico istrione diventava umile e disponibile. A me gli occhi, please, clamoroso successo del 1976, era uno spettacolo complicatamente semplice: un uomo, Proietti, e un baule dal quale estrarre qualche oggetto di scena. Stop. Nessun testo. Andava a braccio». Feltri nutriva grande stima nei confronti di Proietti: «Nei coccodrilli giornalistici, all’indomani della morte di Gigi, ho letto una cosa che mi ha colpito: a uno così, negli Stati Uniti avrebbero regalato le chiavi della Radio City Music Hall, che è un po’ come dire le chiavi dell’Academy di Hollywood. Verissimo. Invece in Italia, perse la direzione del teatro Brancaccio, lo stesso che oggi gli vogliono intitolare. Non fece polemiche, si buttò a capofitto in una impresa unica, la fondazione a Villa Borghese del Globe Theatre, su modello di quello londinese che, secoli fa, vide andare in scena William Shakespeare in persona. Fu un altro, sorprendente punto a suo favore. E un altro regalo alla sua città, che lo amava alla follia, come forse il solo Alberto Sordi prima di lui. Non a caso, l’orazione funebre di Sordi fu affidata a Proietti. Che sfoderò un sonetto alla Belli, in romanesco, facendo commuovere mezza Italia, e anche un più di mezza», scrive Feltri.
«Puoi essere pop o colto. Ma quello che conta è il talento, e Proietti ne aveva da vendere, qualunque cosa facesse»
«Puoi essere pop o colto. Ma quello che conta è il talento, e Proietti ne aveva da vendere, qualunque cosa facesse. Vale la pena di ricordare che il Maresciallo Rocca è stata l’unica fiction, insieme al Commissario Montalbano, capace di rivaleggiare, in termini di ascolti, con alcune serate del Festival di Sanremo. Più popolare di così, è impossibile. Che differenza con le sedicenti stelle da filmetto impegnato, da pellicola col timbro ministeriale, da teatro “ribelle” rigorosamente finanziato dallo Stato, da comicità intruppata, da sceneggiatura a tesi. Il cinema italiano non l’ha mai valorizzato, al di là di qualche ruolo di culto», insiste Vittorio Feltri su “Libero”.
«Cosa aveva, Gigi, che non andava bene per il cinema italiano?», la rivelazione del direttore di “Libero” Vittorio Feltri
Il direttore ha spiegato perché Proietti sarebbe stato «fatto fuori» dal cinema italiano. «Eppure, l’anno scorso, l’ho visto giganteggiare nei panni di Mangiafuoco nel Pinocchio di Matteo Garrone. Una parte di pochi minuti in cui Proietti, perfetto, cancellava il resto del cast, pur eccellente. Cosa aveva, Gigi, che non andava bene per il cinema italiano? Il suo perfezionismo, inviso ai registi e soprattutto ai produttori, dicono in molti. La sua libertà, invisa a un mondo, quello cinematografico, che spesso si muove in gregge, e questo lo dico io», conclude il giornalista, dando la sua personale motivazione. Leggi anche l’articolo —> Gigi Proietti e quell’ultima lezione ai politici: «Il teatro andrebbe curato di più dalle istituzioni»